I vampiri tornano talmente d’attualità che se ne parla ad un convegno organizzato dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione – Sapienza di Roma.
All’incontro dal sottotitolo ‘Anatomia semi-seria di un mito dell’immaginario collettivo’, hanno partecipato tra gli altri: il regista Lamberto Bava, il docente della Sapienza Giovambattista Fatelli, il responsabile del Centro per le Porfirie dell’Istituto S.Galigano Gianfranco Biolcati, il critico cinematografico Elio Girlanda, lo sceneggiatore Bonelli Editore Pasquale Ruju, e Vito Teti, docente dell'Università della Calabria.
Della figura del vampiro chiediamo a Giovanbattista Fatelli, docente di Sociologia dei Processi Culturali alla Facoltà di Scienze delle Comunicazioni di Roma.
Secondo lei, come mai il fascino dei vampiri si rinnova ancora nell’immaginario collettivo nonostante il personaggio sia “sempre uguale a se stesso”?
"La prima ragione è che in realtà il vampiro non è sempre uguale a se stesso. Il suo potere di cambiare forma è in grado di rinegoziare e attualizzare la sua allusione a emozioni e paure ataviche, al confine fra il bene e il male, tra la vita e la morte, tra l’eternità e il nulla. Anzi, la capacità di rinnovarsi - poiché l’ottocentesco Varney non è uguale al Nosferatu di Murnau, né il Dracula di Bela Lugosi al Lestatt della Rice - in un certo senso lo protegge dal ridicolo. Infatti quando il personaggio ha assunto caratteri stereotipati e facilmente riconoscibili (mantello nero, canini aguzzi, aria un po’ fané da nobile decaduto) si è puntualmente scatenata la parodia, dal Dracula cha cha cha alla famiglia Addams, dal Polanski di Per favore non mordermi sul collo al Mel Brooks di Dracula morto e contento".
Il cinema ha messo in scena tanti vampiri. Perché questa figura ha assunto un ruolo dominante nel mondo dell’horror?
"I motivi naturalmente sono molti e non sempre chiarissimi. Come richiesto dalla sua natura, il vampiro è morto e “resuscitato” più volte e questo gli ha consentito un aggiornamento continuo ai tempi. Al suo predominio e alla sua longevità hanno contribuito molto le ascendenze letterarie: il Lord Ruthven di Polidori, con le sue affinità byroniane, ha spopolato nella sua epoca al pari del coetaneo Frankenstein, ma come negare al Dracula di Stoker il merito di una macchina narrativa lucida, spietata e modernissima? La traduzione “visuale” del romanzo vede rivaleggiare lo spregiudicato e visionario Nosferatu con il Dracula di Browning, il regista anche di Freaks, che immerge l’improbabile storia in un’atmosfera neo gotica di rara intensità. Non è un caso che l’ondata dei mostri cinematografici degli anni trenta (uomini invisibili, licantropi, mummie, ecc.) abbia restituito quasi integre solo le spoglie di Frankenstein e di Dracula. Il fatto è che abbiamo a che fare con dei capolavori, a lungo snobbati esclusivamente per via del soggetto apparentemente poco intellettuale. Per non parlare della Hammer e del lavoro enorme di Coppola. Anche alcune caratteristiche proprie del vampiro potrebbero aver giocato un ruolo nella visibilità e nella persistenza del personaggio, ma il discorso sarebbe troppo complicato".
Questa volta, in Twlight, ci troviamo di fronte a un vampiro “buono”, è la prima volta? Nella storia abbiamo altri eroi “positivi”?
"Si potrebbe dire, come qualcuno ha detto della bomba atomica, che il vampiro in sé non è né buono né cattivo e tutto dipende dall’uso che se ne fa. Ma sarebbe troppo facile. Anzitutto perché il vampiro è generalmente cattivo: proviene dal mondo ancestrale degli spiriti notturni, è maligno e si occupa di noi solo perché il nostro sangue è il suo alimento preferito. In secondo luogo, la questione non riguarda tanto l’“uso” spicciolo (che facilmente si risolve in un brivido spesso a buon mercato) quanto il legame degli eroi dell’immaginario con i sentimenti e gli schemi culturali che percorrono di volta in volta il corpo della società. Ovvero spesso il vampiro, come Jessica Rabbit, è come noi lo disegniamo. In un clima da “guerra fredda” tutti gli “estranei” sono nemici dell’umanità che non si fanno domande e non hanno pietà. In contesti diversi invece, figure come il vampiro sono in grado di catalizzare angosce più sottili e profonde, talvolta persino di esprimere desideri inconfessati o problemi inespressi. Quindi sicuramente esiste un vampiro tormentato, deluso dalla propria immortalità, insoddisfatto dei suoi istinti bestiali e forse anche della parte umana. Nosferatu non è forse vittima del proprio desiderio e brucia letteralmente d’amore? I vampiri di Underworld sono così diversi dagli umani? Il padre di Harlan Draka, protagonista della saga a fumetti della Bonelli Dampyr, è un “maestro della notte” (una specie di super vampiro) ma rivela un carattere e una morale velati di attraente ambiguità come chiunque possieda un grande potere; la migliore alleata di Harlan, del resto, è guarda caso una vampira “pentita”. Sempre più spesso si ricorre all’espediente di far nutrire i vampiri “buoni” con quantità non letali di sangue umano o con sangue di animali o con succedanei artificiali… Insomma, dobbiamo rassegnarci: in un’epoca problematica come la nostra, il supermento anche in questo campo di una morale manichea alla Ombre rosse è inevitabile. Il vampiro che sbuca dall’ombra e morde resiste nei nostri incubi perché mette paura in modo facile, automatico e ben collaudato, ma non è più, da tempo, l’unico vampiro possibile".
Ci sono delle basi scientifiche che identificano la figura del vampiro?
Evidentemente, no. In quanto creatura della notte e in gran parte della fantasia, le uniche scienze che possono dare un contributo alla “identificazione” del vampiro sono, senza dar torto alle altre, la psicologia, che può collegare il subconscio alle espressioni fantastiche, e la semiologia, che può aiutarci a capire come funziona la nostra immaginazione e a leggere i significati delle storie che ci raccontiamo. Per il resto, le parole forse fin troppo definitive, sono state spese tutte dall’Illuminismo che ha espulso il fenomeno del vampirismo dal mondo reale, consegnandolo in modo quasi definitivo al regno delle sciocchezze e delle storielle per i creduloni; neppure delle leggende metropolitane perché Voltaire affermava che proprio nelle grandi città non si vedeva neppure l’ombra dei vampiri e che fandonie del genere potevano albergare solo nelle terre selvagge alla periferia dell’Europa civile. Una posizione “negazionista” così drastica oggi non è più attuale ma è altrettanto evidente, da un lato, che i contorni delle inquietudini che serpeggiano ai confini della medicina, della biologia, della genetica, sebbene sfumati, poco somigliano all’immaginario sedimentato sui vampiri e, dall’altro, che il lavoro scientifico di collegamento tra i fenomeni materiali che non comprendiamo bene e quelli immateriali, che crediamo di comprendere senza sapere bene in che modo siano “reali”, resta ancora in gran parte da fare".
J. S.