di Federica MarinoDal paesaggio all’astrazione pura: questa la parabola di Piet Mondrian, che a cavallo fra Otto e Novecento attraversa serenamente e con entusiasmo movimenti diversissimi tra loro, collegandoli in un viaggio interiore e artistico dalla destinazione rivoluzionaria, ma dal percorso graduale e armonico.
La mostra, inaugurata al Complesso del Vittoriano dalla Principessa Máxima dei Paesi, richiama già dal sottotitolo la “armonia perfetta” che le tele di Mondrian sembrano riprodure, nel susseguirsi di linee e colori che sono la cifra inconfondibile dell’artista olandese.
Non si tratta però soltanto di armonia grafica, poiché l’esposizione – settanta olii e disegni di Mondrian e circa quaranta opere di artisti a lui legati e che lo hanno influenzato – ne percorre tutta la produzione riconoscendo continuità e consequenzialità a un itinerario lungo quarant’anni ed estremamente diversificato, ma mai confuso o contraddittorio. Una linea retta, come quelle dei quadri di Mondrian.
Nei primi anni del Novecento Piet Mondrian è nei Paesi Bassi un apprezzato paesaggista, formatosi all’Accademia d’Arte di Amsterdam e stilisticamente legato alla Scuola dell’Aia, che nel paesaggio cerca lo spirito del popolo che lo percorre. Nel 1903 i primi contatti con il pensiero antroposofico di Rudolf Steiner e qualche anno dopo l’incontro con il simbolista Jan Toroop portano una prima evoluzione nella produzione di Mondrian, che non abbandona i paesaggi, ma li schematizza rendendoli essenziali e dando loro forza attraverso colori più vivi e densi sulla tela, secondo l’ispirazione luminista di Toroop e del suo cenacolo zelandese di Domburg.
Parigi è diventata cubista e Mondrian, che è artista di pensiero oltre che di tavolozza, lo studia ed esplora attraverso articoli di giornale e le lettere degli amici pittori. Nel 1911 il Cubismo approda ad Amsterdam, dove Mondrian e Toroop espongono accanto a Cézanne, Braque e Picasso: poco dopo Mondrian lascia l’Olanda e si trasferisce in Francia, dove in breve trova la sua strada bidimensionale. Nella sintesi estrema che cercano nella raffigurazione, i Cubisti scompongono i soggetti fino a renderli per piani tridimensionali, spigoli e profondità; Mondrian va oltre e rinuncia alla terza dimensione, traccia linee orizzontali e verticali, usa il colore per rendere lo spazio. Il suo primo quadro astratto è del 1913: quattro anni dopo Mondrian fonda il Neoplasticismo, traduzione teorica delle sue tele e manifesto dell’arte futura, destinata – diceva – a far vedere e sentire bellezza, bontà, verità, l’equilibrio universale. Astrazione pura, concetti, idee; colori, linee, piani. La sfida più grande di Mondrian è creare un mondo modulare ma mai ripetitivo, dove anche la minima variazione è dotata di senso e viene percepita: il grigio che sfuma il bianco puro, le variazioni nello spessore della linea e nella lunghezza, il rapporto mutevole e sempre bilanciato tra superfici di diverso colore, la posizione dei campi cromatici, la loro iterazione. Linee e riquadri bidimensionali non riescono a risultare piatti, grazie al ritmo che Mondrian vi instilla a costo di rifacimenti e lentissime elaborazioni: sfida vinta.
Bloccato in Olanda dalla Grande Guerra, Mondrian torna a Parigi e vi resta fino al 1938, poi si trasferisce brevemente a Londra e dal 1940 a New York, dove muore quattro anni dopo. Dal contatto con il Nuovo mondo e con la metropoli, nuove suggestioni e ispirazioni. Appare la doppia linea, a rendere ancora più dinamico l’universo di Mondrian: “È come ascoltare della musica, scrive il curatore Benno Tempel, direttore all’Aia del museo con la maggiore collezione mondiale di opere di Mondrian - Bisogna quasi trattenersi dal desiderio di mettersi a ballare”. La musica, probabilmente, è quella universale dell’”armonia perfetta” costantemente cercata da Mondrian.
“Mondrian. L’armonia perfetta”
Dall’8 ottobre 2011 al 29 gennaio 2012
Roma - Complesso del Vittoriano