Comunicare l’incomunicabile


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Andrea Zanzotto, l’artigiano della parola

90 anni di poesia, il compleanno del grande poeta zanzotto_296

di Rita Piccolini

Andrea Zanzotto è unanimemente ritenuto il nostro più grande poeta contemporaneo. E’ nato a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, il 10 ottobre del 1921. La sua esperienza poetica racchiude gli ultimi sessanta anni di storia. Ha attraversato il Novecento vivendone le tragedie e le contraddizioni, ma soprattutto ce lo ha raccontato, attraverso l’evoluzione del linguaggio, quello poetico, ma anche quello della vita quotidiana, del dialetto, che per ognuno è il primo strumento di comunicazione e di conoscenza della realtà, fin da quando viene utilizzato nel balbettio del neonato. Ci ha parlato dell’ambiente che cambia e tradisce spesso le nostre radici, ci ha parlato da uomo moderno qual è, anche attraverso il cinema, grazie a una sorprendente e feconda collaborazione con Federico Fellini.

“La poesia di Zanzotto opera a livello di polivalenza semantica, per cui- afferma Herman Grosser (S Guglielmino, Il Novecento, II/784 Principato, 1977, Milano)- l'oscurità che ne deriva non ha nulla di gratuito, in quanto fare poesia per Zanzotto è sempre intenzionalmente compiere un viaggio nel profondo, nei territori consci e inconsci della psiche. Un viaggio cioè, che, pur avendo come fine l'illuminazione e la conoscenza, deve necessariamente attraversare, affrontare l’oscurità”.

Per questo il poeta stesso si è definito un artigiano della parola, perché le parole le usa in tutte le forme possibili, le manipola, le frantuma, le accorpa, gioca con loro, ma non al fine di un puro esercizio trasgressivo e di contestazione dell’esistente, come molti artisti delle avanguardie e della neo-avanguardie, ma per attingere tramite esse al fondo “noumenico” della realtà. Comunicare l’incomunicabile.

Eugenio Montale lo descriveva come “una talpa” intenta “a scavare nel linguaggio e nel paesaggio”. La sua prima raccolta poetica del 1951 si intitola appunto “Dietro il paesaggio”, e accoglie in sé ancora tutte le suggestioni della grande esperienza ermetica. “A lui tutto serve- continua Montale – le parole rare e quelle dell’uso e del disuso; l’intarsio della citazione erudita e il perpetuo ribollimento del calderone delle streghe. Sullo sfondo, poi, può esserci tanto il fatto del giorno che il sottile richiamo psicologico. E’ un poeta percussivo ma non rumoroso: il suo metronomo è forse il batticuore”.

Ma già da allora, il trentenne poeta guardava oltre, dietro, nel tentativo disperato e vano di attingere all’essenza vera delle realtà, che è linguaggio, quello che utilizziamo per raccontarla. “Io parlo in questa lingua / che passerà” scriveva in un’altra raccolta poetica:”Vocativo” suggerendo, oltre cinquanta anni fa, l’idea che il proprio percorso dietro il paesaggio era al tempo stesso un percorso dietro al linguaggio. Si è servito per questa operazione dell’italiano aulico della tradizione, dell’inglese “esperantizzato”, del “vecio parlar” della sua riva del Piave insieme al francese, tedesco, ebraico. Ha usato citazione delle campagne di marketing, la terminologia astrusa e ridicola della burocrazia, quella immediata dei fumetti e delle canzoni pop, insieme ai balbettii del prelinguaggio infantile: il petèl. E tutto questo con misura, sobrietà, ironia, senza sentire mai il bisogno di aderire o redigere manifesti poetici. Ha detto di sé: Se qualcuno mi chiedesse di esporre la mia poetica d’impulso risponderei: non abbaiare”.

In un saggio importante di due anni fa:”In questo progresso scorsoio. Conversazione con Marzio Breda”, il poeta parla all’amico giornalista e affronta con lui i temi che più gli stanno a cuore: l’emergenza climatica, le crisi ambientali, i fondamentalismi religiosi, i conflitti energetici, il “turbocapitalismo in panne” e le eclissi degli idiomi minori, la consapevolezza di vivere in “un tempo che strapiomba” perché una certa idea di progresso indifferente all’etica, rischia di portarci verso l’autodistruzione. (Ricordate l’uomo occhialuto più malato degli altri di Italo Svevo?).

Scrive di lui Marzio Breda:”Uomo di complicata semplicità, frenato da mille fisime ma appena ne esce disponibile e generoso, Andrea Zanzotto è diventato un punto di riferimento per gli ambientalisti…S’indigna invece contro chi vorrebbe abusivamente inserirlo nell’albero genealogico dell’arcilocalismo trionfante dalle sue parti”.

E certo! E’ infatti sempre il paesaggio quello che gli sta a cuore, quello della sua Pieve di Soligo in cui vive la sua vita e che è stato fonte inesauribile di ispirazione e che ora è stato stravolto dal “progresso?!”, in quanto parte integrante del ricco Nordest. “L’aspetto più urtante di come è cambiato il Veneto è proprio l’aggressione al paesaggio- dice a Marzio Breda- Alla scomparsa del mondo agricolo ha corrisposto una proliferazione inconsulta e casuale…con un’erosione fisica del territorio…Tutta questa bruttezza sembra calata dall’esterno sopra un peasaggio sottile e particolarmente delicato…Quella orrenda proliferazione è scaturita dall’affievolirsi di antiche virtù”. Dalla devastazione del “suo” paesaggio a quella dell’intero pianeta il passaggio è obbligato.”Se si riporta tutto al quadro globale si comprende che una megamalattia è in corso…siamo immersi in una tensione continua, che spinge a uno sviluppo cannibalistico, vorace…Procedendo così entreremo in un’iperbole che ho sintetizzato in un aforisma di tre versi:”In questo progresso scorsoio / non so se vengo ingoiato / o se ingoio”.

Brevi cenni biografici
Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo 1921), comincia a insegnare a diciassette anni, attività che prosegue anche dopo la laurea in Lettere a Padova. Nel 1951 il suo primo libro di versi, Dietro il paesaggio, cui segue una vasta produzione che culmina nella trilogia composta da Il Galateo in bosco (1978) , Fosfeni (1983), e Idioma (1986). Ma prima della trilogia Vocativo, IX Ecloghe, La Beltà, Gli sguardi i fatti e senhal, Pasque, Filò. Nel 1999 esce l’opera completa di poesie e prose nei Meridiani Mondadori. Oltre che poeta, Zanzotto è autore di racconti e importanti saggi critici.

IL CINEMA BRUCIA E ILLUMINA
E’ appena uscita in libreria la raccolta di tutti gli scritti di Andrea Zanzotto sul cinema. Il saggio è a cura di Luciano De Giusti, edito da Marsilio.

Il cinema è uno dei grandi interessi del poeta che nel 1976 fu chiamato da Federico Fellini a collaborare al suo “Casanova” per una consulenza sull’uso del dialetto veneto, collaborazione che continuò poi per la realizzazione di tutti i film del regista.

“Caro Andrea – scrive Fellini a proposito della realizzazione di un progetto di film che non fu mai realizzato (Il viaggio di G. Mastorna) - ci sono momenti del giorno o della notte in cui tutto mi sembra semplice, chiarissimo, bellissimo…L’idea del film la storia i personaggi, lo stile tutto appare di una chiarezza senza equivoci…e mi prende quel solletico, quella frenesia, quella gioia …Mezz’ora dopo il film mi pare di non ricordarlo. Non lo sento più…Mi pare solo una torbida fantasticheria…Non ho ancora deciso niente. Mi affido ai sogni e conto moltissimo su due o tre giorni che passeremo insieme…Arrivederci a presto caro amico”. Sono alcuni passaggi di una lettera inedita pubblicata nel libro, il cui tono chiarisce la natura di affetto, stima e collaborazione che intercorreva tra i due.

Poi suggerimenti e suggestioni, soprattutto nella “E la nave va” e nella “Città delle donne”. Quanti e quali siano stati i suggerimenti di Zanzotto a Fellini per quest’ultimo lo testimonia l’insieme delle osservazioni stilate in forma organica che il poeta gli ha offerto in un testo intitolato “In margine al copione e al copioncino finale della Città delle donne”.

Scrive Zanzotto in “Ipotesi intorno alla città delle donne di F.Fellini”: Parlare del cinema …è dunque parlare della donna, e la città del cinema, il luogo del cinema, è in qualche modo la città delle donne. Il cinema è moltissime cose che sono state individuate…ed è moltissime altre cose che non sono state individuate, ma certo una delle sue facoltà più evidenti è appunto quella di creare intorno al proprio campo di rilevazione un gorgo, un vuoto comunque invitante e “avvitante”, un vortice seduttivo che a ciascuno fa baluginare quasi il completamento dei propri desideri, consci o inconsci, individuali o archetipali , risvegliati, per così dire, su dal più profondo patrimonio della specie umana stessa”.