Il Protocollo di Kyoto, figlio della Conferenza Onu sul clima del 1979, vede la luce nel 1997 ed entra in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da parte di 85 Paesi firmatari. All’atto della nascita, il testo fu sottoscritto da 147 Stati. Le isole Fiji, fortemente coinvolte nei processi di mutamento climatico, furono le prime a ratificarlo. L’Italia lo fece il 31 maggio 2002. Oggi, i Paesi Onu che hanno dato il sì definitivo all’intesa sono 185. Kazakistan e Stati Uniti, che pure fanno parte del gruppo dei firmatari iniziali, non lo hanno ancora fatto. La mancata adesione di Washington, responsabile da sola del 23% dei gas serra che inquinano il mondo, ha in buona parte vanificato gli effetti del Protocollo.
L’accordo costringe i Paesi industriali che vi hanno aderito a ridurre entro il 2012 le emissioni di gas a effetto serra del 5,2% rispetto ai valori registrati nel 1990, attraverso nuove politiche ambientali e industriali. Alle economie più sviluppate, e quindi più inquinanti, si chiede di aumentare il numero di boschi, foreste e coltivazioni agricole. I provvedimenti per la riduzione delle emissioni a livello nazionale possono essere in parte sostituiti da “meccanismi flessibili”, cioè progetti di sviluppo compatibile da attuare nei Paesi emergenti. È inoltre possibile avviare una “compravendita” di quote di anidride carbonica: se una Nazione fa registrare un calo delle emissioni superiore a quanto prevede Kyoto, essa può vendere il proprio “credito” a un’altra, che accusa difficoltà nel raggiungere la sua quota.
Le potenze economiche all’epoca ritenute in via di sviluppo (Cina, India, Brasile) non sono tenute, almeno fino al 2012, a ridurre le proprie emissioni: è questa una delle ragioni dell’ostracismo sin qui mostrato dagli Stati Uniti.
R. F.