di Giulia Artissi
La crisi economica, la speculazione finanziaria. Il 2011 è stato un anno difficile. E anche sul fronte delle relazioni industriali tanti gli snodi cruciali: dall’intesa del 28 giugno che ha ricostituito un’unità di azione tra le sigle sindacali all’uscita di Fiat da Confindustria. Snodi raccontati nell’Annuario del lavoro 2011, volume edito dal Diario del lavoro a cura di Massimo Mascini, attraverso i commenti di giornalisti, economisti, sociologi e giuslavoristi.
Carlo Dell’Aringa, docente di Economia politica all’Università Cattolica e autore di numerose pubblicazioni sui temi delle politiche del lavoro, nell’introduzione dell’Annuario pone l’accento sulla crescita del costo del lavoro, aumentato nel nostro Paese del 40% dalla nascita dell’euro. Aumento che non ha determinato un aumento del potere d’acquisto dei salari. Anzi, l’aumento del costo del lavoro e delle retribuzioni è andato di pari passo con l’aumento dei prezzi. Nessun miglioramento per i salari reali, ma solo con il risultato di far perdere competitività alle nostre imprese esportatrici. Un bassa competitività che, avverte l’economista, porta al rischio di “un avvitamento” della nostra economia con ridotte possibilità di crescita. L’economista fa poi alcune considerazioni in tema di flessibilità e precarietà. L’Italia, secondo le classifiche Ocse, ha un grado di flessibilità del lavoro in linea con la media europea. Inoltre parlare di precariato riferendosi all’intero mondo dei lavori temporanei, “può essere fuorviante”. “Non si possono accomunare stages fasulli, false collaborazioni e improbabili partite Iva, ai contratti a termine e all’apprendistato”. E in Italia i “buoni” lavori temporanei rappresentano discreti gradini verso il lavoro stabile (Ocse, 2011).
Il problema dei giovani è la mancanza di lavoro in genere. Sono più di due milioni i giovani che non studiano né lavorano. Una parte minoritaria è disoccupata. Gli altri sono dispersi tra lavoro nero e semplice inattività. La nostra disoccupazione giovanile è anche di lunga durata (quella che dura da oltre un anno). Rappresenta quasi un record tra i Paesi sviluppati”. E comunque “con una produttività che ristagna da oltre un decennio” è ridotta la possibilità di creare buoni posti di lavoro. I giovani i più colpiti e non , sostiene, perché la flessibilità è eccessiva. Il problema è che “l’occupabilità” è scarsa, dice Dell’Aringa. Il problema è dal lato dell’offerta: “L’Italia è il paese con la più bassa percentuale di giovani studenti che abbia anche qualche esperienza di lavoro”, conclude.