di Maurizio IorioPaul McCartney
Kisses on the bottom (Hear music)
Sir Paul McCartney fa parte di quel cerchio magico di artisti (pochi, molto pochi) capaci di trasformare in oro tutto quello che toccano, un vero re Mida della contemporaneità. D’altronde, cosa aspettarsi da uno che ha rivoluzionato la musica e la cultura degli ultimi 50 anni? Per esempio, che si confrontasse con la musica pre-rivoluzione, quella che da bambino il padre gli faceva ascoltare al pianoforte, e che gli ha forgiato il cervello. In questo “Kisses on the bottom”, dal titolo ironicamente bi-senso, il 69enne ex-Beatle rilegge un po’ di classici del croonering americano pre e post-bellico. E, avvalendosi solo di un vecchio microfono e di una band coi fiocchi (quella di Diana Krall), canticchia con una stupefacente leggerezza vecchi evergreen di Cole Porter, Frank Sinatra, Nat King Cole, Ella Fitzgerald, swingando e jazzando, con il rispetto filologico che solo i grandi riservano all’arte altrui. Nessuna velleità di ridisegnare il modernariato. Puro divertissment e basta. Due soli gli inediti, perfettamente integrati nell’insieme: “My Valentine”, con Eric Clapton a punteggiare di chitarra, e “Only Our Hearts”, all’armonica nientemeno che Stevie Wonder. Roba da inguaribili nostalgici. Sinead O’ Connor
How about I be me (and you be you) (One little indian)
Le vicende personali dell’irlandese Sinead O’ Connor, donna dalla psiche quantomeno inquieta, hanno influito non poco sulla sua carriera artistica, condizionandone le scelte musicali e i comportamenti personali (non sempre inscindibili). La cantante, ormai 46enne, che nel 1992 stracciò in diretta televisiva una foto del Papa, e che ha un rapporto quantomeno combattuto con la religione (il penultimo album si intitola “Theology”), di recente aveva fatto sapere che cercava online un “uomo dolce e affamato di sesso”. Detto fatto. La preda pescata online si chiama Barry Herridge, e Sinead O’ Connor l’ha sposato recentemente in quarte nozze a Las Vegas. Il gossip c’entra poco con la musica, ma è sintomatico dello stato confusionale nel quale versa la O’ Connor, che ha dato alle stampe in questi giorni il suo nuovo album. Dopo la mediocre prova di Theology, la cantautrice dublinese riesce a driblare i suoi demoni e a mettere insieme una manciata di belle canzoni, dal chiaro incedere rock, senza orpelli e sviolinate di troppo. Un disco essenziale, ispirato, che la riconcilia con la musica e (probabilmente) con il suo pubblico. Certo, non tutti i tasselli sono al posto giusto, qualche divagazione elettronica e qualche enfatizzazione vocale appesantiscono la bella linearità delle canzoni, ma bisogna anche tener conto che riemergere da vicissitudini personali così devastanti non è semplice, farlo attraverso buona musica è già un bel passo avanti. Tanto per ribadire il suo effetto taumaturgico.