I nuovi poveri


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'Sulla strada mi ci hanno buttato'

La storia di Antonio pensionato senza fissa dimora mani_296

Antonio, 67 anni, si definisce italiano europeo: “Papà era milanese di origine tedesca, - mi dice sorridendo - mamma sarda di origine spagnola”. Lo incontro a  Roma alla mensa di via Dandolo, gestita dai volontari della Comunità di Sant Egidio. Ospiti molti stranieri, ma anche persone senza fissa dimora e anziani romani. Girando per i tavoli percepisci gli effetti della crisi economica, trovi anziani che hanno la casa, ma che pagando l’affitto non hanno più soldi per fare la spesa, ma anche chi, perso il lavoro ha perso tutto.

“Sulla strada mi ci hanno buttato”, mi dice Antonio, “Hanno venduto la casa in cui vivevo da più di 20 anni e dove speravo di morire. Quella era la mia casa. Qualunque donna sarebbe impazzita con una casa così bella, avevo persino fatto i contro soffitti in legno. Sa, sono un bravo ebanista” mi informa con orgoglio.

Era un “ispettore di produzione” della Assicurazioni Generali. Aveva uno “splendido” ufficio in Piazza Venezia e tanti collaboratori. Guadagnava principalmente sulle provvigioni.  “Mi hanno licenziato un anno prima di andare in pensione. Ho dovuto pagarmi da solo le 'marchette' per gli 11 mesi mancanti ai 35 anni, 11 milioni. Poi ho aspettato 3 anni per percepire la pensione. I pochi risparmi li ho usati in questi 2 anni di forzata attesa. In più è subentrata una brutta asma ostruttiva, causa un vaccino per la rinite allergica, che non mi ha permesso più di cercare un nuovo lavoro”.

Aggiungi un quinto dello stipendio che si prendeva la moglie per il divorzio e un’altra quota per un investimento sbagliato ed ecco che Antonio, pensionato con 870 euro al mese, quando nel 1997 gli aumentano l’affitto di 6 volte portandoglielo a 750 euro al mese, non ce la fa più, e deve lasciare la sua casa. Si compra un camper a rate con un prestito bancario ma in poco tempo gli danno fuoco.

"Non ti puoi immaginare cosa succede di notte per la strada - mi dice-. Ti fanno le peggio angherie. Non riesco più a dormire per la paura”. Il quartiere Marconi diventa il suo giaciglio. Adesso ha affittato un box e dorme per terra, in mezzo ai suoi mobili accatastati.

"Non ho più speranza di uscire da lì, solo un miracolo mi può salvare”. Mentre parla squilla un cellulare. Antonio infila la mano nel suo zaino e tira fuori un “citofono”, cellulare enorme di prima generazione. Quando chiude la breve conversazione mi guarda con rassegnazione.

"Era mia sorella – racconta- è l’unica persona con cui ho un contatto. Lei sta bene e potrebbe aiutarmi, ma ha un marito strano e se fa qualcosa lo deve fare di nascosto. Sono un disprezzato perenne”.

Cosa significa vivere per la strada?- gli chiedo :” E’ uno schifo, un’umiliazione continua. La mia vecchiaia non la immagino più, aspetto solo di morire. La vita mi ha tolto ogni speranza e ogni piacere. Il mio sogno? Trovare una donna che vive in campagna, con una grossa casa dove posso fare un mio laboratorio per lavorare”.

Per un attimo gli si illuminano gli occhi: “Sai, sto costruendo una decina di presepi riciclando le cassette di legno della frutta. Sono bravo, ancora". E il Natale, gli chiedo,dove lo passerai? “ Verrò al pranzo dei poveri qui in Parrocchia, a Santa Maria in Trastevere, è l’unico aggancio per sentirmi vivo”.