Primarie presidenziali Usa


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Il Super Tuesday dei repubblicani

Mitt Romney a caccia dell'investitura bandiera_usa_296

di Valerio Ruggiero

Tra i molti riti della faticosa maratona verso la Casa Bianca, il “super martedì” delle primarie occupa un posto speciale. Sono infatti dieci gli Stati in lizza, martedì 6 marzo, nella lotta tra i candidati repubblicani per assicurarsi l’investitura a sfidare Barack Obama nelle elezioni presidenziali di novembre.

Ma c’è un elemento in più, e si chiama Ohio, uno degli Stati in palio. Perché negli ultimi decenni nessun repubblicano è riuscito a conquistare la presidenza senza aver prima vinto qui. L’Ohio è stato determinante, quattro anni fa, anche per la vittoria di Obama su McCain. Il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti riuscì a strapparlo per un soffio ai repubblicani, ed è tuttora tra gli Stati in bilico, quelli che probabilmente saranno determinanti per la sfida finale.

In Ohio, e negli altri nove Stati, Mitt Romney cerca la svolta che gli assicuri l’investitura del Grand Old Party, tra le cui file non sembra molto amato. Rischia però di rimanere deluso: secondo molti analisti, la gara del Super Tuesday non decreterà un vincitore assoluto, sebbene metta in palio quasi 500 delegati. Ed è lo scenario peggiore per i repubblicani, che paventano una battaglia sanguinosa e lunga quanto tutta la primavera, con i quattro candidati rimasti – all’inizio della corsa erano in otto – impegnati in una lotta senza quartiere per contendersi un delegato dopo l’altro, in vista della Convention di agosto chiamata a formalizzare il nome del vincitore. Nome che potrebbe non uscir fuori, se nessuno dei rivali si assicurasse la maggioranza assoluta di 1144 delegati necessaria alla nomination. E a quel punto, toccherebbe ai vertici del partito sbrogliare la situazione, magari proponendo un quinto nome capace di unificare tutti.

Mitt Romney continua a guidare la corsa, rafforzato dalle ultime vittorie in Michigan e in Arizona su Rick Santorum, ormai accreditato come il suo vero rivale. L’ex governatore mormone del Massachusetts ha conquistato finora 182 delegati ed è dato per favorito nello Stato che ha guidato e in Virginia, Vermont e Idaho, ma rischia di dover inseguire Santorum proprio in Ohio, in Tennessee e in Oklahoma. Non lo aiuta il sistema che in diversi Stati in lizza assegna i delegati in proporzione ai voti ricevuti, e non tutti al vincitore: questo fa lievitare il “gruzzolo” di delegati anche del secondo, terzo e quarto classificato, impedendo la vittoria netta di uno solo dei contendenti.

E’ grazie a questo meccanismo che Newt Gingrich spera ancora di continuare una battaglia che sembra già persa. L’ex speaker della Camera (39 finora i suoi delegati) conta soprattutto su una vittoria in Georgia, e lavora per raggranellare qualche decina di delegati, oltre che in Ohio, nel Sud conservatore per tradizione, in Oklahoma e Tennesse.

Ben più ardua la sfida per il repubblicano atipico e libertario Ron Paul, che non si è aggiudicato nessuna delle primarie tenute finora e ha solo 38 delegati. Spera di far bene negli Stati contrassegnati da minore partecipazione, come Nord Dakota e Alaska, ma ormai appare tagliato fuori dai giochi.

Ma la vera sorpresa potrebbe arrivare proprio da Rick Santorum. L’ex senatore della Pennsylvania, cattolico e ultraconservatore, ha guadagnato finora 79 delegati e sembra incarnare l’antitesi di Romney. Quanto questi è smodatamente ricco, tanto Santorum appare povero, anche nei finanziamenti per la campagna elettorale. E gioca bene le sue carte, lui discendente da una famiglia di minatori di origine italiana, contro Romney, finanziere figlio di un padre imprenditore poi diventato governatore e ministro di Reagan.

Santorum incarna la figura dell’outsider contro il candidato dell’establishment Romney, che attacca per le sue posizioni su famiglia, aborto e diritti degli omosessuali ritenute troppo moderate dall’ala ultraconservatrice del partito vicina ai Tea Party. Anche lui, tuttavia, non sembra lanciato verso una vittoria clamorosa nel Super Tuesday dei repubblicani: semmai verso un eventuale successo di misura.

Il protrarsi di un testa a testa tra i candidati del GOP rischia insomma di proiettare ancora per mesi l’immagine di un Partito repubblicano incerto e diviso, proprio mentre l’economia americana torna a tirare e l’occupazione riparte. Obama e la leadership democratica non chiedono di meglio.