Primarie presidenziali Usa


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I rivali in corsa per la nomination

Quattro i repubblicani ancora in gara

Ai nastri di partenza si erano presentati in otto, ma la dura selezione delle primarie del Partito repubblicano per la corsa alla Casa Bianca ha rapidamente dimezzato i pretendenti. Così Rick Perry, Jon Huntsman, Michele Bachmann e Herman Cain hanno uno dopo l’altro gettato la spugna, lasciando in campo soltanto Mitt Romney, Rick Santorum, Newt Gingrich e Ron Paul.

Mitt Romney
Finanziere, imprenditore ed ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, 64 anni, è al secondo tentativo per la Casa Bianca: nel 2008 fu sconfitto da John McCain. Mormone, due lauree a Harvard, sposato e con 5 figli, è tra i fondatori di Bain Capital, finanziaria specializzata nella compravendita e ristrutturazione di imprese, attività che lo ha reso milionario. La sua ricchezza è però uno dei suoi punti deboli, in un’America che premia il successo ma ancora fatica a uscire dalla crisi economica: Romney viene spesso additato come un rappresentante della casta privilegiata dei finanzieri, che hanno guadagnato fortune licenziando i dipendenti delle società rilevate per ristrutturarle e rivenderle. Il fatto che, in base al sistema fiscale americano, i suoi notevoli redditi da capitale siano tassati meno dei redditi da lavoro di un operaio, gli allontana inoltre le simpatie degli elettori repubblicani meno abbienti; né lo aiuta la sua tendenza naturale alla gaffe. Candidato dell’establishment repubblicano, relativamente moderato, è però da molti ritenuto perdente di fronte all’eventuale sfida diretta con Obama.

Rick Santorum
Ex senatore della Pennsylvania, 53 anni, cattolico ultraconservatore, Rick Santorum era assai poco conosciuto a livello nazionale quando scese in campo per l’investitura repubblicana alla presidenza. Per questo rappresenta in qualche modo la sorpresa delle primarie repubblicane 2012: ha scavalcato Gingrich e Paul nelle vittorie e nel numero di delegati conquistati finora, e appare come l’unico vero contendente capace di strappare lo scettro al favorito Romney. Giocano a suo vantaggio le umili origini e le sue posizioni radicali in tema di famiglia, aborto e diritti dei gay, molto popolari nella base ultraconservatrice del Great Old Party. Ma proprio queste posizioni rappresentano un’arma a doppio taglio: Romney spaventa infatti l’ala moderata dei repubblicani e soprattutto gli indecisi, che nel voto di novembre contro Obama potrebbero fare la differenza. Sposato, ha sette figli, l’ultima dei quali soffre di una grave malattia genetica.


Newt Gingrich
Sessantotto anni, navigata star della politica repubblicana, Newt Gingrich è stato deputato della Georgia e speaker, cioè presidente, della Camera dei rappresentanti americana ai tempi di Bill Clinton, che contrastò con tutte le sue forze. E’ l’ideatore del “contratto con gli americani”, che firmò per la prima volta nel 1994 e gli servì per sconfiggere la maggioranza democratica alla Camera alle elezioni di metà mandato di quell’anno. Grande oratore e conferenziere, piace all’ala ultraconservatrice ma assai meno ai vertici del Partito repubblicano. Le sue debolezze: una vita sentimentale controversa, con tre matrimoni e almeno due relazioni extraconiugali ammesse in pubblico, che gli allontana i favori della destra religiosa, e la difficoltà a reperire fondi per la campagna elettorale.

 

Ron Paul
E’ il candidato dei repubblicani “libertari”, che vogliono poche tasse ma apprezzano le sue idee originali e controcorrente su molti temi, tra cui l’impegno internazionale degli Stati Uniti, che Ron Paul vorrebbe ben più limitato. Medico ginecologo, 76 anni, sposato e con 5 figli, è stato per decenni deputato del Texas alla Camera. Tentò l’avventura presidenziale già nel 1988, candidato per il Partito libertario, e nel 2008, quando corse senza successo per l’investitura repubblicana ma si guadagnò una schiera di fedelissimi, gli stessi che oggi lo finanziano. Le sue posizioni isolazioniste e “pacifiste” – vorrebbe riportare a casa gran parte dei militari americani all’estero – gli assicurano il consenso degli elettori stanchi di un decennio di guerra al terrore, ma lo espongono all’accusa, grave in America, di essere poco patriottico. In breve, non sembra avere molte speranze di proseguire la corsa dopo il “super martedì”.