di Maurizio Righetti
Cullarsi sugli allori non si può. Soprattutto in medicina, materia in costante evoluzione e nella quale hanno un peso immenso le mutazioni degli scenari demografici e, in genere, sociali. E talora in Italia ci si addormenta, ci si ferma a strumenti che col tempo cessano di essere rivoluzionari. Capita, ad esempio, che il Parlamento europeo richiami l’attenzione degli Stati membri sul problema dilagante del diabete e che l’Italia sia stato uno dei primi Paesi dell’Unione Europea a dotarsi di una legge sulla gestione dei pazienti diabetici, che risale al 1987 (legge 115). Ma siamo in ritardo sulla messa a punto di un piano nazionale. E così la risoluzione Ue può anche essere una ‘bacchettata’ al nostro Paese, richiamato alla necessità di “sviluppare, attuare e verificare piani nazionali sul diabete”. E’ quanto rileva Stefano Del Prato, presidente eletto dei diabetologi italiani (Sid), commentando il provvedimento approvato qualche giorno fa.
Del Prato: ”Siamo stati scavalcati dai Paesi del Nord Europa”
“Siamo ancora fermi - dice Del Prato - con l’attuazione del Piano Nazionale sul Diabete. Anche l’ultimo Piano Nazionale Sanitario, pur prestando attenzione al problema crescente di questa patologia, ha rimandato l’attuazione di politiche codificate sulla gestione della malattia, alla realizzazione di un Piano Nazionale specifico che ancora langue. Per questo l’Italia ‘sente’ in modo particolare il richiamo della Ue e anche perché è stata scavalcata su questo fronte, pur essendo partita con largo anticipo, da altri Paesi del Nord Europa che da anni si sono dotati di Piani sul diabete”. Secondo Del Prato ci sono tutti i motivi affinché le istituzioni ascoltino con attenzione il monito di Bruxelles: aumenteranno i pazienti con diabete a causa della crescita dell’aspettativa di vita e la proporzione diretta tra l’età anagrafica e la comparsa del diabete; si diffonde l’obesità, soprattutto infantile che è un fattore di rischio per il diabete e aumentano i costi sanitari legati alle complicanze di questa malattia in campo cardiovascolare, nefrologico e oftalmologico. “Secondo le stime della Società Italiana di Diabetologia – aggiunge Del Prato – ogni malato di diabete costa ai Servizi Sanitari circa 2.000 euro all’anno e se la spesa per il controllo dell’iperglicemia è stabile da 5-6 anni, a crescere è quella legata alle complicanze dovute alla malattia: per il 50%, queste spese derivano da ricoveri, quindi sono in capo all’ente pubblico”.
Diabete in Italia, numeri da pandemia
I numeri del diabete in Italia sono vicini a quelli di una pandemia. La prevalenza nella popolazione è pari al 5%, che raddoppia nella popolazione con età superiore ai 50 anni. In pratica quasi 4 milioni di persone alle quali occorre aggiungere i tanti affetti cui però non è stata ancora diagnosticata la malattia spesso per la mancanza di sintomi eclatanti. “Si stima che per ogni 2 persone malate di diabete – precisa Del Prato – ce ne sia una che ha la malattia, ma non ha ancora ricevuto la diagnosi”.
“Serve una gestione multidisciplinare con al centro il diabetologo”
La Sid lancia un appello alle istituzioni perché affrontino la messa a punto di un Piano Nazionale specifico cercando di sgombrare il campo da possibili confusioni sulla gestione del malato. “Abbiamo dato la nostra disponibilità, come società scientifica e professionale – segnala Del Prato – ad aprire un tavolo che veda coinvolta la politica, le amministrazioni locali, la medicina generale, gli specialisti e che incardini con la medicina del territorio le potenzialità della rete diabetologica già esistente in Italia, in un ottica multidisciplinare, proprio come specifica la risoluzione del Parlamento Europeo in uno dei punti della risoluzione. Infatti la persona con diabete deve essere posta al centro di un intervento coordinato dal diabetologo, che permetta l’efficace intervento del medico di medicina generale e di ogni specialista che l’evoluzione delle complicanze imponga”.