Quali sono stati i danni i provocati dall'onda anomala?
I danni sono stati di due tipi. Un’onda di ritorno, dopo aver devastato le coste, è tornata in mare trascinando un’enorme quantità di sabbia e detriti, compresi rifiuti e sostanze tossiche, come gli idrocarburi, che sono andati a depositarsi sulle formazioni coralline, che sono state “soffocate” dalla mancanza di luce. Il secondo danno è stato di tipo “meccanico”. La violenza delle onde – spiega Roberto Nistri - ha provocato la frantumazione delle colonie madreporiche, i cui resti, peraltro ancora viventi, sono stati trascinati lontano. In entrambi i casi si tratta di eventi che in tempi non troppo lunghi le formazioni coralline sono riuscite in qualche modo a “rimarginare”. Scarse le perdite anche dei pesci, che nella maggior parte dei casi sembra abbiano “sentito” l’avvicinarsi del fenomeno riuscendo a salvarsi nuotando in acque più profonde.
Sono sempre più frequenti le denunce sul pericolo inquinamento.
I reef corallini sono sensibili al fenomeno del riscaldamento globale. Bastano 1-3° C di aumento della temperatura del mare – sottolinea Roberto Nistri - per causare grossi danni alle formazioni madreporiche. A questo si aggiunge la distruzione sistematica dei mangrovieti costieri, che fungono da filtro per i detriti provenienti dalla costa e che costituiscono una vera e propria nursery per moltissime specie di pesci del reef. Anche le sostanze tossiche scaricate dai fiumi in mare rappresentano un gravissimo pericolo per invertebrati sensibili agli inquinanti, quali sono la maggior parte dei coralli.
Cosa si è fatto per arginare le conseguenze?
Non molto, se si considerano le polemiche e i risultati tutto sommato modesti raggiunti attraverso gli accordi internazionali destinati ad arginare l’innalzamento del clima. A livello globale sono partiti alcuni progetti per proteggere o ricostruire i mangrovieti costieri, distrutti dal turismo selvaggio e, nel sud-est asiatico, dagli allevamenti intensivi di gamberi destinati all’alimentazione, nella maggior parte dei casi, delle fasce più abbienti della popolazione locale e degli occidentali. Altri progetti –continua Roberto Nistri- riguardano il “reimpianto” dei coralli nelle aree più danneggiate. Le specie più a rischio sono sicuramente i coralli duri, quelli muniti di uno scheletro calcareo, che per svilupparsi hanno bisogno di acqua a temperatura stabile, assolutamente priva di sostanze tossiche, e di molta luce. Ma in pericolo sono anche molti specie di pesci, decimate dall’”overfishing” e dalla distruzione del loro ambiente.
Cosa potrebbe accadere se un maremoto colpisse il Mediterraneo?
L’ipotesi che un simile devastante fenomeno possa colpire le coste di un bacino interno come il Mediterraneo è stata per molto tempo considerata altamente improbabile e remota. In realtà –afferma Roberto Nistri - non lo è, in quanto la presenza di zone ad alto rischio sismico, legata anche all’attività dei molti vulcani presenti lungo le coste, la rendono assolutamente concreta. Studi in corso hanno individuato alcune zone a rischio, per l’Italia quella di Messina, che sono oggetto di un costante monitoraggio, mentre si cerca di realizzare un sistema, che dovrebbe essere operativo fra non molto, capace di allertare la popolazione entro i primi 3 minuti dall’inizio del fenomeno, limitando gli effetti negativi alle persone ma non certo alle cose. La pesante urbanizzazione del territorio costiero italiano renderebbe certi, infatti, danni pesantissimi alle abitazioni costruite troppo spesso direttamente sulla riva del mare.