La Tunisia si mobilita per 56° dell'indipendenza


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Tra crisi economica e deriva islamica

Manifestazioni per uno Stato laico t

di Bianca Biancastri

Nella giornata che ricorda la conquista dell’indipedenza dalla Francia nel 1956 con Habib Bourguiba, primo presidente della Repubblica tunisina che aveva provato a coniugare laicità e fede islamica, la società civile in Tunisia si mobilita per tutelare i principi di uno Stato democratico e laico dopo la vittoria di Ennahda alle prime elezioni del dopo Ben Ali.

Il movimento Kolna Tounes ha invitato i tunisini a scendere in piazza per ribadire la determinazione a tutelare “la laicità dello Stato, i valori della Repubblica, della democrazia, delle libertà civili e dell’uguaglianza”. Manifestazioni a Tunisi, nella centralissima Avenue Habib Bourguiba, teatro a fine 2010 e inizio 2011 delle proteste contro il presidente, e in tutto il Paese. Il dibattito sul futuro carattere dello Stato e sulle fonti ispiratrici del diritto e della nuova Costituzione, tra cui la Sharia, continua a dividere le forze politiche tunisine e fa emergere spaccature anche all’interno dei singoli partiti mentre il Paese dovrebbe concentrarsi ad arginare la crisi economica e la disoccupazione.

“Pane e dignità!” è uno degli slogan di milioni di persone che il 14 gennaio 2011 riuscivano a mettere in fuga il dittatore Ben Ali. Soprattutto giovani, e istruiti, che chiedevano cambiamento e lavoro. Tuttavia la gioia e l’esultanza di quei giorni sembrano lontane. Il passo del cambiamento è troppo lento, afferma il rapporto di Amnesty International che vede un Paese in gravi difficoltà. La disoccupazione è oltre il 18%, sotto la soglia di povertà più di un quarto della popolazione, migrazione in crescita. Nel 2011 il Pil ha registrato una crescita dello 0,2%, contro il 4,5% dell’anno precedente. Il nuovo governo non è riuscito finora a fare granchè anche se il premier Jebali, numero due del movimento islamista Ennahda, ha promesso lotta alla disoccupazione, con la creazione di centomila posti di lavoro nel 2012, eliminazione dei privilegi, diminuzione delle diseguaglianze regionali, giustizia sociale e ripresa del turismo, grande pilastro dell’economia nazionale. Anche le Nazioni Unite avvertono, nel rapporto di febbraio della Commissione economico-sociale per l’Asia Occidentale, che la prima sfida per i Paesi della Primavera araba per creare le premesse di un futuro stabile è combattere la disoccupazione, soprattutto giovanile.

Il nuovo governo tunisino è segnato dalle critiche di spartizione delle cariche istituzionali e le opposizioni vedono concretizzarsi il rischio di una svolta conservatrice. “I tunisini hanno eletto un’assemblea costituente che rediga una Costituzione non che decida chi governa”, ha dichiarato l’ex primo ministro di transizione Caid Essebsi. “L’Islam non è stato mai contrario alla democrazia”, gli risponde il leader di Ennahda, Ghannouchi, che rassicura: “Lavoriamo insieme, laici e religiosi, per la democrazia del nostro Paese”. Ghannouchi, fondatore del partito islamico moderato uscito vincitore dalle prime elezioni libere in Tunisia dopo la Primavera araba, si mostra aperto al dialogo e respinge le accuse di chi teme una svolta integralista, affermando che il suo partito è un partito politico, non un partito religioso. Eppure pesano su Ennahda le pressioni dei gruppi integralisti salafiti tunisini, come le loro manifestazioni di venerdì scorso davanti all’Assemblea Costituente per chiedere che la legge islamica, la Sharia, sia la fonte principale della futura Costituzione.

Anche sulla questione delle donne ci sono contraddizioni. “Ennahda lavora per migliorare le leggi dello Stato a favore delle donne”, assicura Imen Ben Mohamed, deputata tunisina eletta all’Assemblea Costituente. Lontane anni luce dalle sue parole, invece, quelle di Souad Abderrahim, deputata velata di Ennahda, eletta in una circoscrizione di Tunisi: “Le madri single non hanno diritto di esistere”.

Tuttavia continua a contare il fatto che Ennahda non ha stravinto alle elezioni. Ha avuto la maggioranza relativa che non gli permette una libertà politica assoluta. I leader del partito islamico moderato dovranno poi tenere in conto le relazioni con i vecchi partner, tra cui l’Unione Europea. Inoltre la società tunisina è segnata da una storia laica, è molto vicina all’Europa, e nemmeno gli islamici accetterebbero la Sharia intesa in senso radicale, come unica fonte di diritto. Ennahda ha ottenuto quasi il 40% dei consensi perché si è affacciato sulla scena politica come un partito fortemente organizzato che non risultava compromesso con l’ex regime, mentre i partiti laici apparivano divisi. La Tunisia è un Paese musulmano ma è anche figlio della decisione dell’ex presidente Bourguiba che nel 1956 abolì la poligamia, decisione che ha avviato un processo di emancipazione femminile che non ha eguali in altri Paesi di tradizione musulmana. Un cambiamento della normativa susciterebbe diverse reazioni. Ed è anche sul piano dei diritti che si giocherà il futuro del Paese.