di Maurizio IorioFirst Aid Kit
The Lion’s Roar (Whicita Recordings)
Sono un po’ acerbe, queste due sorelline svedesi, Johanna e Klara Söderberg, 19 e 22 anni, in arte First Aid Kit. D’altronde, l’età è una giustificazione che qualunque professore accetterebbe. Uscite chissà come dal cappello a cilindro del neo-folk, che con il gelo nordico non ha molto a che fare, queste novelle nipotine di Joan Baez hanno suscitato gli apprezzamenti entusiastici di Patty Smith e di Jack White (deus dei White Stripes) che in genere non sono di manica larga. Visto il talento, cosa sempre più rara, il Bright Eyes Conor Oberst se l’è accaparrate e ha prodotto ad Omaha questo The Lion’s Roar, un bell’album di folk pret-a portèr, dieci piccole melodie che sembrano uscite direttamente da Nashville. Avrebbero fatto la loro bella figura nel bel film di Robert Altman, le due sorelline, alle quali non manca neanche la gradevolezza d’aspetto. In alcuni spunti le ragazze peccano di bella calligrafia, ma è un peccato veniale. Tutto sommato le armonie vocali e le melodie traggono spunto da tutti e da nessuno, difficile attribuire loro una paternità specifica , anche se loro stesse danno indicazioni precise: “I’ll be your Emmylou and I’ll be your June, if you’ll be my Gram and my Johnny, cantano in “Emmylou”. Tradotto: sarò la tua Emmylou (Harris) e la tua June (Carter) se tu sarai il mio Gram (Parsons) e il mio Johnny (Cash). Più chiare di così ! Album delicato e delizioso, non tedioso, cosa che al folk riesce abbastanza facilmente. Con l’andar del tempo e un po’ d’esperienza sulle spalle, le First Aid Kit lasceranno impronte profonde nel pop, perché il confine è sottile, e loro potrebbero varcarlo con grande classe. Simple Minds
'X 5' (Emi)
Trentatrè anni di carriera sono tanti, abbastanza per andare in pensione, sempre che uno abbia voglia di farlo. Nonostante la terza età incombente, i Simple Minds non sembrano avere intenzione di appendere le chitarre al chiodo. Jim Kerr e soci nel 1979 piombarono sulla scena rock da Glasgow, Scozia, ex-grigia città portuale trasformata ultimamente in uno spettacolare progetto futurista, con “Life in a day”. Da allora, una vagonata di successi, 30 milioni di album venduti e 5 titoli primi in classifica. I concerti della seconda metà degli anni ’80 sono stati classificati fra i migliori live-act di sempre. A metà strada fra il pop, l’elettronica post-punk e il rock delle Highlands, i Simple Minds hanno segnato musicalmente un’epoca. Forse per questo, oltre che per alzare un po’ di moneta, hanno pubblicato da poco un cofanetto, “X5”, che racchiude i loro primi cinque album (Life in a day, Real to real cacophony, Empires and dance, Sons and fascination/sister feelings calling e New Gold Dream), opportunamente rimasterizzati, più inediti e chicche varie. “X5” non è una raccolta di pezzi da museo, anche se l’età lo giustificherebbe. Perché dentro quegli album c’è il segno di un passaggio musicale, a cavallo degli anni ’70-’80, dall’irruenza del punk e della new wave, all’elettronica da diporto del pop alla Duran Duran, nel quale Jim Kerr e compagni hanno dovuto trovare la giusta via di mezzo per non essere spianati dalla storia. Dotata di un nel talento melodico, barocca al punto giusto (ascoltare anche gli eredi, i Manic Street Preachers e i Big Country), la band scozzese continuò l’opera dei Roxy Music enfatizzando il suono e trasformandolo in un prontuario di pop-rock neo-romantico. Nel box ci sono anche 90 minuti di materiale extra, come B-sides, versioni live e extended mix. Per nostalgici appassionati.