di M.Vittoria De Matteis
(mv.dematteis@rai.it)
Gli "agropirati" si camuffano dietro le sigle più strane e singolari: si va dal ‘Parmesao’ (Brasile) al ‘Regianito’ (Argentina), al ‘Parma Ham’ (Usa), dal ‘l'Asiago del Wisconsin’ (Usa), alla ‘Mozzarella Company di Dallas’ (Usa), dalla ‘Cambozola’ (Germania, Austria e Belgio), al ‘Danish Grana’ (Usa). Per le imitazioni della pasta italiana c’è l’imbarazzo della scelta, e ovviamente si tratta di prodotti che nella maggioranza dei casi usano il grano tenero, nemico della pasta di qualità. Si va dall’uso di nomi tradizionali (spaghetti, maccheroni o lasagne) a marchi che richiamano l’Italia (‘pasta Festa’, ‘pasta Primavera’).
L’agropirateria internazionale genera un business illegale di ben 60 mld di euro l’anno: cifra superiore di quasi due volte e mezzo il valore complessivo dell’export agroalimentare italiano, pari a 25mld di euro nel 2010. Lo afferma la Cia-Confederazione Italiana Agricoltori: in Italia ci sono oltre il 22% dei prodotti certificati registrati complessivamente a livello europeo. A questi vanno aggiunti gli oltre 400 vini Doc, Docg e Igt e gli oltre 4mila prodotti tradizionali censiti dalle Regioni e inseriti nell’Albo nazionale. Una lunghissima lista di prodotti che ogni giorno rischia il ‘taroccamento’.
Solo all’agricoltura, per esempio, il fenomeno della contraffazione costa oltre 3mld di euro l’anno. Oltre all’’italian sounding’, che include tutti quei prodotti che richiamano nel nome e nella confezione l’italianità senza averne alcun titolo, c’è poi da considerare il falso vero e proprio del made in Italy, che vale 7mld di euro l’anno. Di cui ben 2/3 -avverte la Cia- sono in capo al solo settore agroalimentare. Insomma, la situazione è di una gravità estrema. Siamo di fronte a un immenso supermarket del ‘bidone alimentare’, dove a pagare è solo il nostro Paese. Tanto più che a livello mondiale ancora non esiste una vera tutela dei nostri Dop, Igp e Stg.
Basti pensare che negli Stati Uniti il giro d’affari legato alle imitazioni dei più famosi formaggi nostrani supera abbondantemente i 2mld di dollari l’anno. E che se soltanto in Usa si potessero tutelare efficacemente le denominazioni dei prodotti, l’export italiano avrebbe un potenziale tre volte superiore all’attuale, avvicinandosi ai 10mld. Ecco perché bisogna fare qualcosa di più: il ‘made in Italy’ agroalimentare è un campo economicamente strategico - osserva la Cia - oltre ad essere un patrimonio culturale e culinario, immagine stessa dell’Italia fuori dai confini nazionali.
Ora servono misure ‘ad hoc’: l’istituzione di una task force in ambito Ue contro truffe e falsificazioni alimentari; sanzioni più severe verso chiunque imiti prodotti a denominazione d’origine; un’azione più decisa da parte dell’Europa nel negoziato Wto per un’ effettiva difesa delle certificazioni Ue; interventi finanziari, a livello nazionale e comunitario, per l’assistenza legale a chi promuove cause (in particolare ai consorzi di tutela) contro chi falsifica prodotti alimentari.