Pena di morte, il rapporto di Amnesty


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Il boia affila la scure in Medioriente

Più esecuzioni, ma in meno Paesi pena_morte_296

di Bianca Biancastri

Aumentano le esecuzioni capitali nel mondo, raddoppiando in Medioriente dove le rivolte della Primavera araba avevano portato la speranza di cambiamenti positivi anche per la pena di morte, mentre scende il numero dei Paesi che le mette in pratica. Nel 2011 le esecuzioni sono state 676, 149 in più rispetto al 2010, un incremento significativo dovuto in larga parte ad Arabia Saudita, Iran e Iraq. Venti i Paesi, su 198, che hanno eseguito condanne a morte contro i 23 dell’anno precedente e i 31 di dieci anni fa. Nel computo, registrato da Amnesty International nel suo rapporto annuale, non rientrano le migliaia di persone che si ritiene siano messe a morte in Cina, un Paese dove i dati collegati alla pena di morte sono considerati segreto di Stato, né il significativo numero di esecuzioni che l’Iran non rende noto ufficialmente. Diversi i capi di imputazione: dall’adulterio e sodomia in Iran, alla blasfemia in Pakistan, dove è tuttora in attesa di esecuzione la cristiana Asia Bibi. In Arabia Saudita si può morire per stregoneria mentre in diversi Paesi la condanna a morte può essere emessa per reati di droga.

Secondo Amnesty International, nella maggior parte dei Paesi dove sono state emesse o eseguite le condanne a morte, i procedimenti giudiziari non hanno rispettato gli standard internazionali sui processi equi. In alcuni casi le sentenze si sono basate su confessioni estorte con la tortura o altre forme di coercizione, come in Arabia Saudita, Bielorussia, Cina, Corea del Nord, Iran e Iraq. In Bielorussia, Giappone e Vietnam i detenuti nel braccio della morte (18.750 alla fine del 2011 in tutto il mondo), i loro familiari e gli avvocati non sono informati dell’imminente esecuzione. Esecuzioni in pubblico sono avvenute in Arabia Saudita, Corea del Nord, Iran e Somalia. In Iran sono stati messi a morte almeno tre detenuti condannati per reati commessi quando avevano meno di 18 anni, in violazione del diritto internazionale. Una quarta esecuzione del genere sarebbe avvenuta in Arabia Saudita. Due Paesi, Afghanistan ed Emirati Arabi Uniti, hanno ripreso le sentenze capitali nel 2011.

Alcuni i passi avanti registrati da Amnesty. I parlamenti di Benin e Mongolia hanno approvato un disegno di legge per la ratifica del protocollo delle Nazioni Unite per l’abolizione della pena di morte. La Sierra Leone ha istituito una moratoria ufficiale sulle esecuzioni, in Nigeria è stata confermata. Le esecuzioni negli Usa, unico Paese del continente americano ad aver eseguito condanne a morte, sono diminuite: 43 nel 2011 contro le 46 nel 2010 e 71 nel 2002. E inoltre l’Illinois è diventato il 16° Stato nel Paese ad aver abolito la pena di morte e una moratoria è stata annunciata in Oregon. In Europa, la Bielorussia è l’unico Paese ad aver eseguito condanne a morte nel 2011. Dal 1° gennaio 2012 la Lettonia è diventato il 97° Paese al mondo ad aver abolito la pena di morte. Non sono state registrate esecuzioni in Giappone, per la prima volta in 19 anni.

In Medioriente, dei 19 Paesi della regione, solo quattro, Iran, Iraq, Arabia Saudita e Yemen, hanno registrato il 99% delle esecuzioni. In Egitto, il Consiglio supremo delle forze armate, dopo aver preso il potere, ha mantenuto lo stato di emergenza in vigore dal 1981 e ha ampliato la potenziale applicazione della pena capitale a nuovi reati. Inoltre i tribunali militari hanno emesso condanne a morte contro i civili in seguito a processi iniqui. Nel Paese almeno una persona è stata messa a morte e sono state emesse almeno 123 sentenze capitali. Nel 2011 non sono state eseguite sentenze capitali in Bahrein, ma cinque persone sono state condannate a morte per presunti omicidi commessi durante le proteste soppresse con violenza dal regime,mentre 2.500 sono state arrestate e la maggior parte di esse ha dovuto affrontare processi gravemente iniqui di fronte a un tribunale militare. La continua violenza in corso in Paesi quali Siria, Libia e Yemen, ha reso particolarmente difficile la raccolta di informazioni precise sull’uso della pena capitale. Segnalate in Libia frequenti esecuzioni extragiudiziali, torture e detenzioni arbitrarie.

“La vasta maggioranza dei Paesi ha deciso di non usare più la pena di morte. Il nostro messaggio ai leader di quella isolata minoranza di Paesi che continua a ricorrervi è chiaro: non siete al passo col resto del mondo su questo argomento ed è tempo che prendiate iniziative per porre fine alla più crudele, disumana e degradante delle punizioni”, ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.