Quando l’uomo comincia a temere o a venerare la natura, o a credere nel soprannaturale, nascono i simboli. In pietra, in osso, in legno, in terracotta. Anche quando l’uomo comincia ad amare e a provare nostalgia, nascono simboli e rappresentazioni. Chi non ricorda Massimo Decimo Meridio, il gladiatore interpretato da Russell Crowe, che accarezza le statuine che raffigurano la moglie e il figlioletto?
La fede cristiana, nell’arte sacra e nella devozione popolare, è – al contrario delle altre religioni – una teoria infinita di forme che “rappresentano”. Ma non ci sono sole le cattedrali, le sculture, gli affreschi, la pittura. C’è anche il piccolo, il minuto. Ci sono anche le statuine votive, testimonianza di un’arte minore che racconta, spesso meglio della grande storia dell’arte, il radicarsi della fede nelle vicende di una comunità. Una vera e propria testimonianza etnografica viva, utile a comprendere le radici e il convivere di un popolo quasi quanto lo sarebbe – per l’archeologo, per l’antropologo – un utensile. In una delle più antiche città italiane della ceramica, a Grottaglie, in provincia di Taranto, nell’approssimarsi della Pasqua, viene allestita una mostra unica in questo genere, che accende per la prima volta i riflettori su una produzione grottagliese considerata, erroneamente, minore. L’esposizione, dal titolo appropriato “Sacralità domestica”, realizzata nelle grotte di “Casa Vestita” nel suggestivo Quartiere delle Ceramiche (uno dei pochi “quartieri” al mondo scavati nel tufo e fin dal medioevo destinato alle “fabbriche” della creta), resterà aperta dal 29 marzo al 15 aprile.
Ideata e curata dall’archeologo Simone Mirto e da Mimmo Vestita, la mostra presenta circa 100 statuine ed è corredata dagli scatti del fotografo Ciro Quaranta, che negli ultimi trenta anni ha portato avanti un minuzioso lavoro di ricerca sulla fede popolare in Puglia, riuscendo a mettere insieme un archivio straordinario di luoghi, riti e facce delle sopravvissute tradizioni secolari del sud.
Intimamente legate alla famiglia, le statuine dei santi in terracotta facevano parte di un dialogo costante di devozione, di pietà e di “richiesta” di assistenza al sacro, e spesso erano collocate in apposite nicchie in tufo ricavate nelle mura domestiche e adornate da fiori e candele. Venivano realizzate “a stampo” e dipinte a freddo, ed erano vendute in occasione delle feste patronali nei paesi di tutta la Puglia.