Atlante delle crisi


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2009, Obama e le sfide planetarie

Gli eventi che segneranno il mondo nell’anno che si apre b

In un quadro di diffusa sfiducia e di forte instabilità economica, si apre un anno che potrebbe segnare una svolta nel destino dell’umanità: in palio, la riscossa o il tramonto dei valori occidentali. Protagonista assoluto del 2009, come già lo è stato del 2008, sarà Barack Obama, nuovo emblema del sogno americano, su cui buona parte del mondo ripone grandi speranze. Come ogni capo della Casa Bianca, anche l’afroamericano venuto dal nulla dovrà confrontarsi con una sfida planetaria, resa ancor più ardua dall’eredità degli 8 anni di presidenza Bush.

L’amministrazione Obama, che sarà operativa dal 20 gennaio, dovrà combattere su almeno tre fronti caldi: la crisi economica mondiale e la recessione interna; i sempre più evidenti effetti dei cambiamenti climatici; l’agenda di politica estera, affidata a Hillary Clinton, con in primo piano le crisi in Iraq, Afghanistan, Iran  e Medio Oriente.

La voragine nei conti pubblici (mille miliardi di dollari) e la crescente disoccupazione costringeranno Obama a prendere le distanze dai proclami della campagna elettorale, alienandosi parte del suo elettorato. A rischio, sicuramente, è il piano per l’estensione dell’assistenza sanitaria gratuita, oggi non sostenibile. Secondo i più ottimisti, il piano dell’amministrazione Bush potrebbe avere effetti positivi già a fine 2009; molto però dipenderà da come Obama saprà architettare un nuovo “New Deal”, più che mai necessario. La finanza mondiale dovrà dotarsi di nuove regole, e gli ultimi mesi del 2008 hanno mostrato che la strada passa anche attraverso l’intervento degli Stati. Dovrà essere colmato il divario tra economia virtuale ed economia reale: prevedibile un ridimensionamento degli affari, un ritorno all’austerity e al piccolo risparmio.

Accanto al nuovo “New Deal”, ci si attende un “Green Deal”, che coniughi ambiente e crescita economica. La mancata firma del Protocollo di Kyoto ha accentuato per gli Usa un isolamento cui Obama ha vuole metter fine. Negli ultimi anni, Washington ha chiesto che a fare le spese della rivoluzione climatica non fosse solo l’Occidente. Fin qui, i maggiori responsabili dell’effetto serra sono state le economie americana ed europee, ma ora la Cina è il primo inquinatore del pianeta, e il mondo si aspetta un’intesa globale, che richiede massicci investimenti da parte di tutti. Il pacchetto europeo “20-20-20”, nato a fatica e subito ridimensionato, è l’unico esempio concreto di una nuova filosofia ambientale. Obama ha promesso di ridurre le emissioni di gas serra dell’80% entro il 2050, investendo 15 miliardi di dollari in progetti per l’energia pulita. Resta da vedere fino a che punto la potente lobby del petrolio, in America e nel mondo, consentirà la svolta. Il suo primo banco di prova sarà la Conferenza mondiale sul clima, che a fine anno a Copenaghen dovrà fissare le regole per il dopo-Kyoto.