I recenti raid israeliani su Gaza hanno infranto i presupposti per la pace nati dalla Conferenza di Annapolis. La prospettiva di due Stati (Israele e Palestina) che convivono in pace è sempre più lontana. E dal Medio Oriente dipendono gli equilibri nella grande Nazione araba, che condizionano l’intera umanità. Il nuovo segretario di Stati Usa, Hillary Clinton, spera di riuscire là dove hanno fallito tutti i suoi predecessori, compreso suo marito Bill, che pure era andato vicino a una storica intesa. A febbraio, Israele torna alle urne in un clima di grande incertezza politica; non è affatto detto che il voto porti stabilità. Il tentativo di unire il Paese attraverso Kadima sembra ormai fallito, ma il bipolarismo Laburisti-Likud oggi non appare più proponibile. Anche il presidente palestinese Abu Mazen ha annunciato elezioni “imminenti”. Ma la sua credibilità è ai minimi storici, Abu Mazen controlla solo la Cisgiordania, e la sovranità sulla Striscia di Gaza resta saldamente in mano ad Hamas, movimento con cui Israele e l’Occidente non vogliono avere a che fare. La mediazione dell’Egitto tra le due fazioni rivali, Hamas e Fatah, non ha sin qui portato a risultati concreti, e anche per il 2009 la Palestina sembra destinata a rimanere divisa in due.
Il 12 giugno vota in Iran, sia per il Parlamento che per il presidente. La Costituzione consente la ricandidatura dell'attuale capo dello Stato, Mahmud Ahmadinejad. E la guida suprema del Paese, ayotallah Khamenei, gli ha chiesto mesi fa di prepararsi per un secondo mandato: “Si comporti come se dovesse rimanere in carica per altri 4 anni”. Ahmadinejad non sarà solo nella corsa alla presidenza. Eppure, benché milioni di iraniani, specie nelle città, lo contestino, e molti giovani patteggino per i riformisti, sarà avvantaggiato da un sistema che consente al clero di fissare ogni regola. L’Iran continua a tenere in vita il dialogo sui suoi programmi nucleari con il gruppo “5+1” e con l’Agenzia Onu per l’energia atomica. Le centrali iraniane continuano ad arricchire uranio, rendendo sempre più concreta la prospettiva dell’arma atomica. Inutili le sanzioni fin qui attuate, e il muro contro muro tra Usa e Russia nel Consiglio di sicurezza difficilmente consentirà di uscire dall’impasse.
Tempo di elezioni anche in Iraq: nella prima metà del 2009 (forse entro la primavera) si terranno le provinciali, tappa conclusiva del processo di transizione democratica. La riconciliazione tra sciiti e sunniti è lontana, ma sono stati compiuti significativi passi in avanti. Desta preoccupazione l’instabilità nelle regioni curde, dove le costanti incursioni turche contro le basi del Pkk hanno generato nuove tensioni. A fine anno, poi, si dovrebbero tenere le elezioni politiche.La situazione della sicurezza nel Paese resta precaria. Il primo gennaio, il ritiro delle truppe americane dalla “zona verde” di Bagdad dirà fino a che punto il governo iracheno può reggersi sulle proprie gambe. L’accordo Usa-Iraq sulla sicurezza sarà sottoposto a referendum durante l’estate. Esso consente alle truppe americane di restare nel Paese fino alla fine del 2011, ma già nel 2009 gli effettivi dovrebbero passare dagli attuali 140.000 a 80.000. Barack Obama ha promesso il ritiro completo entro 16 mesi dal suo insediamento, ovvero nel maggio 2010.
In parallelo al ritiro dall’Iraq, Washington intende potenziare la sua presenza in Afghanistan. Dopo 7 anni di guerra, i talebani sono tutt’altro che sconfitti, come dimostra l’estendersi degli attentati dalla roccaforte Kandahar ad altre province, compresa Kabul. Centrale, nella guerra ai talebani e ad Al Qaeda, rimane il ruolo del Pakistan, chiamato direttamente in causa da Obama. Tramontato Musharraf, oggi a Islamabad c’è Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto. Sulla sua affidabilità, e su quella dei servizi segreti pakistani, non tutti sono pronti a scommettere. Più volte gli Usa hanno chiesto agli alleati Nato di rafforzare la loro presenza nella guerra al terrorismo afghano, ottenendo fin qui scarsi risultati. Anche per Guantanamo, Washington si attende più collaborazione da parte dei partner europei. Si vedrà se Obama, che vuole urgentemente chiudere il carcere speciale nell’enclave cubana, sarà più convincente di Bush.
Nella foto, il presidente iraniano Ahmadinejad