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India e Pakistan giocano con il fuoco

Anche il 2009 si apre all’insegna delle schermaglie indo-pakistane r


Anche il 2009 si apre all’insegna delle schermaglie indo-pakistane. Delhi ritiene che Islamabad sia coinvolta nelle stragi del 26-29 novembre scorsi a Mumbai; Zardari e i suoi ministri negano e si dicono pronti a collaborare, ma avvertono: “L’India non può dettare la nostra agenda politica”. Sullo sfondo, movimenti di truppe e dichiarazioni di fuoco tra le due potenze nucleari. Eppure le cifre fotografano una situazione quasi rosea: nel 2008, nella provincia contesa del Kashmir si è registrato il numero più basso di scontri armati e di vittime dell’ultimo ventennio. Segno che il disgelo, avviato dall’ex presidente Musharraf e dal premier Singh, non è solo di facciata. Entro maggio l’India, la più popolosa democrazia del mondo, tornerà alle urne per rinnovare il Parlamento. Difficile prevedere l’esito del voto, facile supporre che la priorità del futuro governo sarà arginare gli effetti del rallentamento della crescita economica.

La Cina, come l’India, rallenta la sua galoppata verso il primato tra le potenze economiche mondiali.  La crisi dell’export, conseguenza della recessione in Occidente, costringerà le aziende di Pechino a orientarsi verso i mercati dei Paesi emergenti. Quello tra Cina e Terzo mondo è un amore antico. Pechino è abituata a fare affari con i governi, in particolare quelli africani, senza pretendere nulla in termini di democrazia, ma guardando solo ai reciproci interessi. Il 2009 non potrà che rafforzare il ruolo della Cina quale esportatore di beni e tecnologie e importatore di materie prime, in particolare petrolio dai nuovi giacimenti subsahariani, con buona pace dell’effetto serra. Il mercato interno cinese è destinato a crescere ancora, in virtù di un andamento dell’economia che comunque resterà positivo, e di un comparto finanziario meno audace di quello occidentale,  e quindi meno esposto agli effetti della crisi mondiale.
Per il terzo anno consecutivo, la Thailandia è chiamata a una difficile prova di maturità politica. Una rivolta popolare, con l’aiuto della magistratura, è riuscita a cacciare gli eredi dell’ex premier Thaksin, giunti al potere dopo elezioni democratiche successive a un anno e mezzo di regime militare. Ora si pone il problema della legittimità del nuovo governo. L’appoggio popolare ai luogotenenti di Thaksin è forte e compatto almeno quanto quello dei loro detrattori. Il conflitto, in apparenza insanabile, riflette le contraddizioni tra città e campagna. La spaccatura è profonda e nessuna delle due metà riesce ad accettare che sia l’altra a governare. Le proteste, fin qui, sono state pacifiche, ma il pericolo è sempre in agguato.