di Francesco Chyurlia
Ad un anno dall’inizio della Primavera araba, il 2012 sarà un anno cruciale per capire se le rivoluzioni in quei paesi rappresenteranno svolte strategiche. Quali saranno le opportunità di investimento per l’Azienda Italia?
Voltarsi indietro per andare avanti. Le rivoluzioni ancora in corso nell’area del Mediterraneo e del Golfo necessitano, dopo un anno dal loro inizio, di un primo bilancio di quella che è stata definita la Primavera, un cambio repentino, incessante nella guida di Paesi che avevano, nella loro forma-governo, la staticità e la continuità come elementi distintivi e, al tempo stesso, degenerativi. “Dopo la visita, in aprile, del Premier Monti in Egitto, che ha ribadito il valore degli accordi imprenditoriali e degli scambi commerciali nell’area, oggi – dice a Televideo Marella Caramazza, direttore generale della Fondazione Istud - è necessario capire le chance di investimento che offre un gruppo di paesi così vasto, in particolare per l’Italia, che storicamente ha avuto un ruolo politico ed economico rilevante in questa zona”. Questi i temi di un workshop internazionale: "Gli investimenti, l’export e le imprese. Primavera nel Med-Golfo. La finanza islamica e la crescita". L’evento, che è stato organizzato dall’Osservatorio Med-Golfo della Fondazione Istud e dalla Rappresentanza a Milano della Commissione europea, con il patrocinio del Ministero dello sviluppo economico, si tiene a Milano domani presso il Centro svizzero .
“L’appuntamento di Milano è nato per capire come l’Italia e l’Europa – spiega a Televideo l’economista Maurizio Guandalini, chairman del seminario di studi e curatore insieme al guru dell’economia Victor Uckmar del libro ‘Med-Golfo, la terra promessa del business’ - possono radicarsi al meglio in quei paesi considerando le difficoltà e le barriere nuove che sono di fronte. Tenendo ben presente – continua Guandalini - che le transizioni, per loro natura, hanno delle letture, delle interpretazioni, dei punti di vista diversi, in particolare quando, per cultura, tradizione, economia c’è un variegato gruppo di paesi che va, dalle sponde del Mediterraneo fino al Golfo, passando per il Medio Oriente – dove i bollori dei conflitti sono da sempre in corso – fino ai paesi prossimi all’Unione Europea come la Turchia”. Quindi la Primavera è un work in progress, in divenire e, con tutta probabilità, l’anno prossimo ci saranno interessanti evoluzioni di un processo che vede l’Italia tra gli interlocutori privilegiati. Una domanda da porsi, in un contesto storico in cui l’Europa guarda il suo ombelico, è perché parlare di finanza islamica. E’, invece, di molto interesse approfondire il tema della finanza islamica che è e rimane tra gli spazi più congeniali della collaborazione, amicizia e cooperazione economica, con l’Occidente. In Italia, che passi sono stati fatti, ad esempio, verso l’islamic banking? Sono maturi i tempi per una presenza della finanza islamica nella nostre imprese? Lontano dai luoghi comuni e da una visione semplificatrice del mondo all’Italia rimane da affrontare, tra le tante cose in sospeso, aspetti ancora poco conosciuti, i comportamenti che la religione e la cultura musulmane possono indurre nel mondo del business. Siamo fermi mentre la finanza islamica moderna nel mondo ha ormai compiuto più di quarant’anni e ha raggiunto traguardi molto importanti. “Siamo stati tra i primi, nel 2008 – precisa Guandalini - a fare un evento su l’Islam e il mondo degli affari. Da quel workshop, in Italia, che passi sono stati fatti, ad esempio, verso l’islamic banking?”. Dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, la finanza islamica attraverso fondi internazionali è presente in importanti aziende, in molti casi ribaltando destini di bilanci negativi già segnati. In Italia ci sono timidi segnali, in grandi gruppi, ma ci potrebbero essere notevoli possibilità di attrazione di investimenti nei core business anche delle medie imprese”.
E’ necessario fare un primo bilancio di quella che è stata definita la Primavera, un cambio repentino, incessante nella guida di Paesi che avevano, nella loro forma-governo, la staticità e la continuità come elementi distintivi e, al tempo stesso, degenerativi. La Libia, l’Egitto, la Tunisia si sono liberati di poteri lunghi, famigliari, corrotti e dittatoriali. Oggi è in atto una transizione, non definita, non uguale, per intensità, nei diversi paesi, con la presenza di classi dirigenti orizzontali, senza più il capo supremo che decide per tutti. Potremmo dire leadership più affini alle strutture delle democrazie occidentali, anche se nel momento che lo affermiamo siamo consapevoli dell’azzardo. L’occasione è il work shop di Milano che vuole far capire come l’Azienda Italia possa radicarsi al meglio in quei paesi considerando le difficoltà e le barriere nuove che sono di fronte. Tenendo ben presente che le transizioni, per loro natura, hanno delle letture, delle interpretazioni, dei punti di vista diversi, in particolare quando, per cultura, tradizione, economia c’è un variegato gruppo di paesi che va, dalle sponde del Mediterraneo fino al Golfo, passando per il Medio Oriente, dove i bollori dei conflitti sono da sempre in corso, fino ai paesi prossimi all’Unione Europea come la Turchia. L’Unione europea è in tutta l’area. Il cammino in queste nazioni deve avere il supporto dell’Europa, interprete fedele di realtà dove le strutture economiche e politiche sono ai primordi della loro evoluzione. Stare accanto a queste nazioni è vitale per evitare degenerazioni e salti pericolosi verso l’integralismo religioso che può divenire simbiotico con il governo degli stati stessi. Il med-golfo è un cantiere aperto. Si parla da tempo di un’area di libero scambio commerciale, ma sono di più gli ostacoli, voluti o cercati, che gli atti concreti. L’Italia è presente in tanti paesi. Può e deve fare di più puntando sul made in Italy tradizionale, sulla meccanica e sulla tecnologia. Il made in italy deve ripartire da qui, da questi paesi che in una fase di debolezza del quadro finanziario mondiale sono un territorio ricchi di materie prime e con la necessità di infrastrutture. Ma quali sono le azioni da compiere? Cosa c’è da fare? L’obiettivo è la stabilizzazione della regione e il recupero della capacità di attrazione degli investimenti esteri. C’è stato un tracollo evidente degli investimenti diretti esteri (e della bilancia dei pagamenti, ad esempio in Tunisia ed Egitto dove si è registrata una crisi nel turismo) a seguito della crisi finanziaria del 2008 e dell’avvio della primavera araba. Si tratta di capire anche a che punto è il Piano Marshall (in un’area strategica rinominata Mena, Maghreb e Medio Oriente) lanciato dalla finanza islamica: la stabilizzazione dell’area si lega indissolubilmente alla potenza economica e finanziaria degli Stati del Golfo: Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman e Kuwait. Paesi che di fronte alla crisi hanno diminuito le rendite da petrolio e sono stati costretti cambiare strategie allocando i propri assets in progetti strutturali interni.
C’è un pericolo che viene dalla ventata di protezionismo che coinvolge sia i Paesi mediterranei in via di sviluppo, che quelli ad economia avanzata. Tutti, spaventati dall’avanzare delle produzioni di Cina e India, tentano di proteggere i propri prodotti con dazi e barriere di vario genere mettendo a rischio i volumi di esportazione. Una situazione che pesa nei paesi med dove le produzioni sono spesso in eccesso rispetto alle esigenze interne. Il quadro è variegato. In tunisia ci sono 800 imprese italiane che non hanno risentito del trambusto. Ci sono gli incentivi del precedente regime che non sono stati toccati. Il Marocco è una piazza poco conosciuta dagli imprenditori italiani: c’è un costo del lavoro basso e una esenzione fiscale cospicua per chi produce per l’export, oltre a vantaggi per chi investe oltre i 20 milioni di euro. L’Egitto è un paese molto critico, anche per la sicurezza che durante il periodo di Mubarak era una certezza. I settori d’interesse sono agricoltura, energia rinnovabile e infrastrutture. Nella Libia si parla di vera e propria ricostruzione dalle infrastrutture per l’elettricità alla realizzazione di ospedali.