di Carla Toffoletti
“Quanto tempo abbiamo dovuto spendere in questi 30 anni per difendere una riforma invece di applicarla? Oggi il silenzio ha vinto e questi uomini sono rimasti soli”.
A trent’anni dall’approvazione della Legge 180 sulla chiusura dei manicomi, e di questa grande battaglia di democrazia che non si è mai esaurita, Psichiatria Democratica risollecita una riflessione al Nuovo Cinema Aquila di Roma. , anche in vista della prossima chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari,( marzo 2013), veri “luoghi dell’orrore”.
E si ricrea, quasi per incanto, quel clima propulsivo della “stanza rosa” del manicomio di Arezzo, il reparto peggiore dove prima della liberazione venivano rinchiuse le “inquiete”, scelto simbolicamente dalle equipe basagliane come luogo di scambio continuo e affannato per trovare soluzioni possibili allo smantellamento del manicomio. La stanza rosa come luogo fisico della ricerca, ma anche espressione del sogno , del desiderio di mettere insieme pratica clinica, medica e ricerca. E oggi gli stessi autori di quella liberazione si ritrovano qui, al cinema Aquila, per continuare la loro battaglia: Luigi Attanasio, Paolo Crepet, Loris Prosperi,Renato Sponzilli.
Si torna a parlare di pericolosità sociale, di imputabilità ,di revisione del Codice Penale.
“L’importante non è vincere, ma convincere”,diceva Basaglia e non a caso viene proiettato il filmato “Vite sospese”: Indagine sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari , alla presenza del senatore Ignazio Marino, Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e sull’efficienza del Servizio sanitario Nazionale. Immagini che arrivano alla gente, perché, diceva Basaglia, “anche il salumiere deve sapere”.
“Queste strutture sono un vero orrore per un Paese che si definisce civile-dice Marino- non mi sarei mai aspettato quello che ho visto. Il 40% delle persone chiuse in questi luoghi sono tenuti lì contro la legge, la magistratura di sorveglianza proroga l’internamento Bisogna cambiare questo atteggiamento”. Ora il Senato ha approvato l’emendamento che stabilisce per marzo 2013 il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari., sono state reperite le risorse (273 milioni di euro, e in tempi di crisi non è poco), ma adesso che si è stabilita la chiusura che succede? Ci sono ancora aspetti non risolti, primo fra tutti la revisione del Codice Penale.
Lo spiega bene Vittorio Boraccetti, ex procuratore di Venezia , esponente di Magistratura democratica, oggi eletto nel Csm.: “”Finchè non si supera l’attuale disciplina di imputabilità penale e quindi, nel codice, il concetto di pericolosità sociale, non si garantisce la tutela del più debole e si rischia di comminare alle persone con sofferenza mentale una sanzione molto più dura”.
A Barcellona Pozzo di Gotto,(Me), è ancora rinchiuso un ragazzo che nel 1992 era entrato in un bar per una rapina di 6 mila lire , simulando di aver in tasca una pistola. Con lui tre persone, che essendo incensurate non sono mai state incarcerate . Il ragazzo,anch’egli incensurato, viene dichiarato incapace di intendere e di volere , ed è stato sottoposto alle misure di sicurezza dell’Opg: da 20 anni è rinchiuso a Barcellona Pozzo di Gotto.
“Bisogna riconoscere alla persona che ha una sofferenza mentale una responsabilità del suo operato- spiega Boraccetti- la pena non può consistere in trattamenti lesivi della dignità della persona e deve comunque tendere alla riabilitazione".
Ma come se ne esce?
“Finchè non si supera l’attuale disciplina di “imputabilità penale” e quindi, nel Codice ,il concetto di “pericolosità sociale”, che prevede l’incapacità di intendere e di volere, e quindi la non punibilità, non se ne viene fuori.. Certo,per le persone fragili si possono ipotizzare sanzioni diverse proprio in forza della loro malattia, sanzioni che prevedano anche la cura . Ma la pena deve avere un termine,la sanzione la certezza della sua durata, mentre la cura cessa solo quando si sono esauriti i bisogni della persona. Oggi si utilizza ancora la nozione di “pericolosità sociale” come surrogato di una sanzione penale che non posso erogare . La pericolosità è legata all’idea della irresponsabilità . Quali sono le esigenze di sicurezza da tutelare? Chi ci assicura che la persona che ha commesso un reato , riconosciuta imputabile, una volta scontata la pena e uscita dal carcere non torni a delinquere e non possa essere pericolosa? Per le persone non imputabili invece la sanzione è legata al loro modo di essere Bisogna riconoscere alla persona con sofferenza mentale che ha commesso un reato una sorta di responsabilità, che va però staccata dalla pericolosità.
Il problema della 'pericolosità in psichiatria' rappresenta uno dei nodi centrali teorico-pratici su cui si impernia tutto il lavoro di cambiamento dell'assetto assistenziale territoriale... i risultati dell'indagine sottolineano l'arbitrarietà e l’inutilità dei provvedimenti contro la volontà dei pazienti; inoltre essi si sono rivelati persecutori e gravemente lesivi della salute e del decorso stesso della malattia. Una serie di indicatori sono stati individuati e studiati; essi dimostrano che il ricovero coatto è funzione dell'apparato sanitario e sociale e non ha rapporto alcuno con una presunta gravità o irriducibilità dello stato di sofferenza. L'intervento d'ordinanza non presenta inoltre caratteri diversificabili nei due ordinamenti, prima e dopo la legge: infatti, anche se la parola pericolosità è scomparsa nell'ultima stesura normativa, ciò che permane è l'ideologia del ricovero contro la volontà del paziente e ne rappresenta nel contempo il suo limite più evidente.
“La chiusura degli Opg significa non solo occuparsi delle 1200 persone che vi sono rinchiuse, ma anche aprire altre porte di democrazia”, spiega Emilio Lupo, responsabile delle Strutture Intermedie di un Distretto Socio-Sanitario della A.S.L. Napoli/1. “L’idea di Psichiatria Democratica è di dare risposte differenziando i bisogni, perché come ci ricordava Foucault , sono nati prima i manicomi della psichiatria. Si è arrivati alla chiusura degli Opg perché il lavoro della Commissione Marino ha incontrato la gente Quelle immagini hanno convinto tutti sul bisogno di chiudere quelle strutture. Ma bisogna evitare che si costruiscano altre strutture che in piccolo riproducano le stesse logiche manicomiali (mini-Opg). Servono programmi e progetti individualizzati” Insomma adesso comincia una nuova fase, forse più delicata, che dovrà portare queste persone verso dei percorsi di cura decisamente più adeguati rispetto a quelli dove sono stati rinchiusi finora. “La battaglia non è chiusa- conclude Marino- questo è solo un primo passo, però importante perchè finalmente abbiamo una data e dei fondi certi da destinare alla riqualificazione e riorganizzazione delle strutture e al personale. Chi deve uscire è giusto che esca, per gli altri le regioni entro un anno, che non è tanto, devono organizzare le strutture sul territorio”, e ringrazia tutti gli operatori del settore che lo hanno aiutato a comprendere una realtà così articolata e complessa. E’ solo una parte del percorso.