di Mariaceleste de Martino
mceleste.demartino@rai.it
Il Vaticano l’ha recentemente appoggiata. Se n’è parlato al forum internazionale di economia di Davos. E anche il presidente della Commissione Ue, Barroso, ha detto che bisognerebbe risolvere la crisi anche con la sensibilità dei leader religiosi.
È la finanza islamica che si basa sulla legge sacra del Corano. Ecco le regole principali:
-Vietato ricavare interessi sui prestiti
-Obbligatori gli investimenti socialmente responsabili
-Condivisione dei rischi e dei profitti
-Promozione per migliorare la società
-Usare le finanza per un utilizzo della società e non personale
-Transazioni trasparenti
Regole molto simili a quelle della Banca Etica. E come per la Shari’a, questi “must” sono presenti anche in altre religioni, incluso il Cristianesimo. Eppure, le banche in Italia, dove la presenza della Chiesa cattolica è dominante, non applicano le regole di Dio.
A Roma sì è svolta la prima edizione del forum economia e integrazione, dedicato al tema del mercato internazionale e della finanza islamica. In occasione della settimana della cultura islamica, si sono incontrati esperti bancari e di mercati nazionali e internazionali e analisti di economia e finanza islamica in Italia.
A organizzare il convegno la Co.Re.Is, Comunità Religiosa Islamica Italiana, in collaborazione con enti italiani e stranieri quali l’Isesco (l’Unesco islamica), la Fabi (Federazione Autonoma Bancari Italiani) e il Cedar (network per la promozione della leadership dei musulmani europei).La centralità dell’Economia Islamica non dipende solo dallo sviluppo e dal peso che l’Islam sta avendo a livello dei mercati internazionali, ma dalla necessità generale di riqualificare eticamente l’economia planetaria, cosa che pone il contributo delle religioni al centro dell’attenzione. Infatti, le religioni, quelle del Monoteismo abramico in particolare, hanno da sempre dato grande importanza alla correttezza degli scambi economici quale principio etico e di stabilità sociale.
Per l’Islam i tassi di interesse sono illegittimi e immorali e sono considerati usura. Vietata anche ogni forma di speculazione e qualsiasi attività che porti all’incertezza. Per fare un esempio, le società che hanno un rapporto del 30% tra debito e capitale sociale vengono escluse dai fondi di investimento islamici.
Facciamo un altro esempio: se si ha bisogno di un mutuo per la prima casa, le banche islamiche comprano l’abitazione e la rivendono al cliente facendogli pagare un servizio piuttosto che stipulare un’ipoteca. Potrebbe sembrare un raggiro delle regole sacre, ma non lo è assolutamente. Infatti, le istituzioni finanziarie fanno affari senza violare i loro principi che invece permettono loro di “affittare” la proprietà o applicare un piano di riacquisto fino a che il debito sarà saldato.
La finanza tradizionale, per intenderci, lascia aperta l’opzione dell’investimento “responsabile”, mentre per l’Islam il fine non giustifica i mezzi ed è tassativo non utilizzare i soldi per scopi non etici, ovvero, finanziare progetti che prevedono l’uso di armi e atti di terrorismo, oppure l’uso di stupefacenti e qualsiasi forma di droga incluso l’alcol, nonché soldi spesi a favore della pornografia, per il gioco d’azzardo o per la macellazione e la distribuzione di carne di maiale.
Per superare il blocco culturale che in Italia risale alle Crociate, “è oggi divenuto necessario anche chiarire meglio la portata profonda di questi principi religiosi a fronte del crescente formalismo e integralismo”, afferma la Co.Re.Is che ribadisce l’importanza di sviluppare in forma continuativa e permanente approfondimenti intellettuali e strutture dedicate al tema economia. “Questo per favorire un’intesa fra i vari attori sociali e un adattamento in tema economico della shari’a alle esigenze dei nostri tempi”. E ricorda che in Paesi come l’Inghilterra o Malta, nazioni anglosassoni a differenza di Spagna, Francia o Italia, vi è invece una maggior presenza e quindi accettazione della finanza islamica.
“La finanza islamica sostiene le piccole e medie imprese, non è solo un business per l’Europa, ma per lo sviluppo del Golfo e dell’Asia. E in più, offre anche maggiori controlli del terrorismo e delle migrazioni”, affermano gli esperti presenti al convegno, impegnati a lavorare per le persone islamiche che vivono in Italia, per consentire loro gli strumenti compatibili con la shari’a. Quindi, vi è una necessità di allargare la rete bancaria alle istituzioni islamiche in Italia, “un Paese che sembra impaurito ad aprire le porte a nuove mentalità e al cambiamento: l’Italia stessa che non è abituata ad esportare neanche la propria istruzione all’estero, poiché non esistono scuole italiane in altri Paesi. Oltre la moda e i prodotti alimentari la cultura italiana non va oltre i confini nazionali”, affermano alla tavola rotonda sulla finanza islamica.
“Serve un dialogo interreligioso”, afferma Yahya Pallavicini, presidente di Co.Re.Is, frutto di un dialogo interculturale tra il padre, italiano, e la madre, giapponese, che ringrazia i presenti e spiritualmente anche “chi non possiamo vedere né sentire”.
Una nota di colore:
-Nessuna donna velata al convegno, ma nessuna donna tra gli intervenuti
-I relatori erano seduti sotto il busto di Benedetto XIV e di fronte al busto di Pio VII
-Il convegno si è svolto nella Sala Pietro da Cortona nei musei capitolini del Campidoglio, ricca di dipinti nei quali i protagonisti sono figure di nudo o ecclesiastiche.