di Maurizio Iorio
Nonostante la notizia della grave malattia di Fabrizio De André fosse già vox populi, il coccodrillo alla Pereira, all’epoca, non l’avevamo preparato. Per una forma scaramantica, probabilmente, ma anche per un rifiuto concettuale. Non può morire chi è destinato all’immortalità. Tantomeno andarsene prima del tempo.
Eppure, nonostante albergasse nell’Olimpo già da tempo, De André aveva paura della morte. “Quando arriverà, riuscirà a darmi il tempo di avere paura” - aveva detto. La stessa paura che si poteva leggere negli occhi del soldato ne "La Guerra Di Piero": “E se gli sparo in fronte o nel cuore/soltanto il tempo avrà per morire/ma il tempo a me resterà per vedere/vedere gli occhi di un uomo che muore”.
E se n’è andato ormai da dieci anni, con la stessa dignità del suo soldato, fiero, della stessa fierezza dei suoi derelitti, delle sue puttane, dei suoi emarginati, dei suoi poveri cristi, dei suoi indiani, perfino dei suoi rapitori. Ma non in pieno sole, come il suo pescatore. E chissà se aveva un solco lungo il viso. Ci piacerebbe immaginare di sì.
Riparlarne adesso ci fa capire come la ferita ancora non si sia rimarginata. Il tempo cancella i dolori, si dice, contemporaneamente all’affievolirsi dei ricordi. Eppure con lui questo assunto non funziona, basta riascoltare le sue ballate dolenti, animate da reietti pieni di umanità, per rendersi conto di quanto, in questo caso, il tempo sia passato invano.
Ci sono mancate la sua voce densa e profonda come il mare della sua Sardegna, capace di scolpire le parole, la sua ironia, la sua rabbia, la sua poesia. Aveva capito per primo che quest’ultima, applicata alla musica, era più rivoluzionaria di un moschetto. E lui, da anarchico aristocratico qual’era, aveva scelto di lottare accanto ai perdenti d’ogni risma. “Un traditor borghese”, così lo avevano definito. Già, un italiano atipico, uno dei pochi capaci di scendere dal carro del vincitore.
Ci è mancata, e ci mancherà per sempre, la musica che non ha potuto più scrivere, lenta e gravida di suoni, impregnata di malinconia e di malessere esistenziale, illuminata dalla luce dell’arte, nella quale la parola avrebbe continuato a costituire un integrante elemento sonoro.
Ma, soprattutto, ci è mancata la sua figura di uomo libero, di antieroe borghese. Che, alla fine, come tutti, ha dovuto fare i conti da solo con la morte. D’altronde, ci aveva avvertiti: “Cari fratelli dell’altra sponda/cantammo in coro giù sulla terra/andammo in mille alla stessa guerra/ questo ricordo non vi consoli/ quando si muore/ si muore soli”.
E, last but not least, era stato anche (in)consapevolmente profetico: “Mi sono visto di spalle che partivo, ti saluto dai paesi di domani che sono visioni di anime contadine in volo per il mondo”.