di Massimo Bubola*
Quando andai la prima volta in terra d’Irlanda, nel 1976, (Il cielo d’Irlanda lo scrissi molti anni dopo) lì ritrovai la povertà e la magia del mio Veneto dell’infanzia. Avevo da poco conosciuto Fabrizio a Milano e già mi parlava della Sardegna come sua patria elettiva e luogo dove voleva vivere.
Tutti cercavamo una patria in cui riconoscerci, un luogo di parole e d’affetti, di musica e di sentimenti antichi, qualcosa da cui attingere bellezza a piene mani, una bellezza filtrata da mille anni di passaggi, di fatiche, di durezze, di invasioni, di difese, di feste, di riti, di canzoni.
Nel film-intervista “ No direction Home” che Martin Scorsese ha dedicato a Bob Dylan qualche anno fa, Dylan inizia a parlare dicendo di essere una specie di Ulisse che sta cercando da sempre la sua patria. La patria non è quel concetto sdrucito e romantico che creò i nazionalismi, ma è semmai un senso di identità e di memoria. Senza radici un albero non ha fronde, ma come in agronomia puoi innestare il tuo tronco anche su altre radici ed è questo che hanno fatto molti di noi, senza dimenticare le nostre radici del grande albero paterno. Ho appena riarrangiato e rivisitato parte, undici, delle ventuno canzoni condivise con De Andrè ed ho aggiunto una nuova ballata “Dall’altra parte del vento” dedicata a Fabrizio. Una ballata che prende spunto da un titolo di Orson Welles per un film mai finito. Orson, un altro esule che ha innestato il suo ramo in tante altre culture, Spagna, Cipro, Dalmazia. Il mio è un inno agli outsiders, agli esuli, a chi ha ritrovato una patria dopo lungo cercare.
Con Fabrizio abbiamo scritto nel secondo nostro album una canzone, un alterco per essere più esatti, in una delle lingue sarde che è il Gallurese. Questo è stato come un battesimo dovuto, così come l’altra canzone che abbiamo condiviso che è Hotel Supramonte e poi la ballata su Franziska, la donna del bandito clandestino “senza luna” ed infine in quell’album fu eseguita l’Ave Maria, che in Sardegna è come un inno.
Abbiamo scritto poi in napoletano “Don Raffaè”, poi approvata e benedetta da uno dei più grandi poeti della canzone napoletana che è Roberto Murolo. Ed anche Napoli diventò per me e Fabrizio una seconda patria, già vagheggiata da tempo attraverso Marotta, De Filippo, Malaparte, Viviani, Rea. Anche quella è stata una scelta di innestarsi su lunghissime radici. Radici che hanno reso il nostro cuore un Arlecchino, pieno di stoffe riciclate e cucite assieme in un melange che ci portiamo addosso e che continua a fruttificare nel nostro ed in altri tronchi. Ho continuato a pensare in sardo, a parlare e scrivere canzoni in Napoletano, ho continuato a visitare la musicalità e la letteratura irlandese. Ho continuato a sapere dove tornare ed avendo tante patrie, ogni volta è una festa ed è questo un grande regalo che mi ha fatto e di cui sono grato al mio amico Fabrizio.
* Massimo Bubola, cantautore veronese, e presente sulla scena italiana dal 1976, anno in cui esordi con Nastro Giallo. L album impressionò Fabrizio De André, che si avvalse della sua collaborazione per la scrittura dei testi e delle musiche delle canzoni di "Rimini" (1978) e de "L’Indiano" (1981), gli album che ne rilanciarono la carriera, con canzoni come "Andrea", "Sally", o "Fiume Sand Creek". Bubola ha pubblicato 18 album.