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Springsteen canta di nuovo l'American dream

Esce il nuovo album del Boss. Un ritorno all'ottimismo con le sonorità degli anni '60 b

di Maurizio Iorio

Emblematico, ma decisamente attuale, il titolo del nuovo album di Bruce Springsteen, "Working On A Dream" (lavorando su un sogno), nei negozi da domani. Un omaggio senza mezzi termini a Barack Obama, appoggiato apertamente dal Boss, che si è esibito anche nel grande show musicale dell'insediamento. Dopo aver cantato per un decennio la disintegrazione del sogno americano ed il tradimento di un paese nei confronti dei propri figli, che fino a ieri erano alla ricerca della "Long walk home", la lunga strada per casa, (in Magic), Springsteen torna a celebrare la capacità di cambiamento dell'America.

Dai tempi di "The Ghost Of Tom Joad" (1995), ispirato a Furore di John Steinbeck, nel quale lo scrittore Usa narra l'epopea dei contadini dell'Oklahoma gettati sul lastrico dalla crisi del '29, Springsteen si era fatto interprete, con grande vena poetica, del dramma economico e sociale della working class, la spina dorsale d'America, della quale è sempre stato il cantore. "Non bisogna aver paura di sognare", ha detto molti anni fa. La sua America, della quale non era più molto orgoglioso ("è difficile essere americani oggi" ha detto all'apertura dell'ultimo tour) aveva perso questa incredibile capacità di credere in se stessa e di rinascere.

"Il sole sorge, salgo la scala, un nuovo giorno è arrivato", canta oggi, in un vero e proprio inno all'american dream. E la stessa titletrack sembra disegnata per il nuovo presidente: "Ho raddrizzato la schiena e lavoro ad un sogno". Apparentemente leggero, "Working on a a dream". Prodotto da Brendan 'O Brian, autore del nuovo corso sonoro springsteeniano, "Working" è la continuazione di Magic, forse più arioso e definito, quasi un ritorno alla musica spensierata degli anni '60, con riferimenti neanche troppo velati ai Byrds, ai Beach Boys, ai Beatles, al suo idolo Roy Orbison (Roy Orbison singings for the lonely, in Thunder Road).

Chitarre leggere ed impasti vocali tipici dell'epoca, il sole che sorge di nuovo all'orizzonte. Certo, il rock muscoloso di Born In The Usa è lontano anni luce, ma era il 1985 e il Boss i muscoli ce li aveva davvero. Adesso, in sintonia con i tempi, a quasi 60 anni, il Boss veste i panni del vecchio saggio. Chiude la ballata "The wrestler", colonna sonora del film che ha vinto a Venezia. Certo, viene da chiedersi: e se Obama non avesse vinto, queste canzoni che fine avrebbero fatto? Evidentemente, quello che una volta era l'ultimo eroe romantico ed innocente di una generazione di perdenti, ha sentito che la "risposta soffia nel vento".

>> Il tour italiano

(Foto di Giovanni Canitano)