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31 gennaio

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Gli israeliani gli hanno attribuito uno dei massimi riconoscimenti concessi a non ebrei, negli Stati Uniti e in Ungheria ha avuto accoglienze trionfali ed onorificenze ma nel suo paese d'origine, l'Italia viveva con un modesto sussidio. Giorgio Perlasca, spacciandosi per un diplomatico spagnolo, riuscì a Budapest nel 1944 a sottrarre alla morte e alla deportazione più di 5 mila ebrei.

Perlasca non ha mai sollecitato premi o riconoscimenti perché, diceva, ''non ho fatto nulla di straordinario". Sosteneva di avere agito solo perché non poteva “capire come si possa perseguitare qualcuno per motivi di religione". Nessun particolare merito, dunque, a suo avviso, ma solo il fatto di ''avere avuto un'occasione che altri forse non hanno avuto''.

Di carattere schivo, Perlasca non aveva fatto nulla per ricordare la sua attività in favore degli ebrei. Quasi per caso un'organizzazione ebraica riuscì a rintracciarlo nel 1989 a Padova. Questo distacco non gli impedì di commuoversi fino alle lacrime quando in Israele la attribuzione della cittadinanza onoraria e una cerimonia in suo onore nel ''viale dei giusti '' del Museo dell'Olocausto furono anche occasione per rincontrare alcune delle persone che gli dovevano la vita.

Giorgio Perlasca era nato a Como il 31 gennaio 1910. Fascista entusiasta negli anni Venti, parte come volontario prima per l’Africa Orientale e poi per la Spagna, dove combatte in un reggimento di artiglieria al fianco del generale Franco. Tornato in Italia il suo rapporto con il fascismo entra in crisi. Essenzialmente per due motivi: l’alleanza con la Germania contro cui l’Italia aveva combattuto solo vent’anni prima e le leggi razziali entrate in vigore nel 1938 che sancivano la discriminazione degli ebrei italiani. Smette perciò di essere fascista, senza però mai diventare un antifascista.

Durante la seconda guerra mondiale con lo status di diplomatico è mandato come incaricato d’affari nei paesi dell’Est per comprare carne per l’Esercito italiano. L’8 settembre 1943, giorno dell’Armistizio tra l’Italia e gli Alleati , si trova a Budapest. Perlasca non aderisce alla Repubblica di Salò perché si sente vincolato dal giuramento di fedeltà prestato al Re e per questo è internato per alcuni mesi in un castello riservato ai diplomatici.

Riesce a fuggire approfittando di un permesso per una visita medica a Budapest e si nasconde prima presso vari conoscenti, quindi grazie a un documento che aveva ricevuto al momento del congedo in Spagna trova rifugio presso l’Ambasciata spagnola. Diventa in pochi minuti cittadino spagnolo con un regolare passaporto intestato a Jorge Perlasca, e inizia a collaborare con l'Ambasciatore spagnolo che assieme alle altre potenze neutrali presenti (Svezia, Portogallo, Svizzera, Città del Vaticano) sta già rilasciando salvacondotti per proteggere i cittadini ungheresi di religione ebraica.

Quando l’Ambasciatore spagnolo deve lasciare l’Ungheria per non riconoscere de jure il governo filo nazista ungherese, il ministro degli Interni ordina di sgomberare le case protette. In quel momento Giorgio Perlasca decide di intervenire: dice di sospendere gli sgomberi perché – sostiene – che l’Ambasciatore si è solo assentato e che nel frattempo lui è stato nominato suo sostituto. E’ creduto e le operazioni di rastrellamento vengono sospese. Il giorno dopo su carta intestata e con timbri autentici compila di suo pugno la sua nomina a rappresentante diplomatico spagnolo e la presenta al Ministero degli Esteri dove le sue credenziali vengono accolte senza riserve.

Nelle vesti di diplomatico regge pressoché da solo l’Ambasciata spagnola, organizzando l’incredibile “impostura” che lo porta a proteggere, salvare e sfamare giorno dopo giorno migliaia di ungheresi di religione ebraica ammassati in “case protette” lungo il Danubio. Rilascia salvacondotti che recitano “parenti spagnoli hanno richiesto la sua presenza in Spagna; sino a che le comunicazioni non verranno ristabilite ed il viaggio possibile, Lei resterà qui sotto la protezione del governo spagnolo”. Li rilascia utilizzando una legge promossa nel 1924 da Miguel Primo de Rivera che riconosceva la cittadinanza spagnola a tutti gli ebrei di ascendenza sefardita (di antica origine spagnola, cacciati alcune centinaia di anni addietro dalla Regina Isabella la Cattolica) sparsi nel mondo. La legge Rivera è dunque la base legale dell’intera operazione organizzata da Perlasca, che gli permette di portare in salvo 5218 ebrei ungheresi.

Dopo l’entrata a Budapest dell’Armata Rossa, Giorgio Perlasca viene fatto prigioniero, liberato dopo qualche giorno, e dopo un lungo e avventuroso viaggio per i Balcani e la Turchia rientra finalmente in Italia. Da eroe solitario diventa un “uomo qualunque”: conduce una vita normalissima e chiuso nella sua riservatezza non racconta a nessuno, nemmeno in famiglia, la sua storia di coraggio, altruismo e solidarietà.

Giorgio Perlasca è morto il 15 agosto del 1992. È sepolto nel cimitero di Maserà a pochi chilometri da Padova. Ha voluto essere sepolto nella terra con al fianco delle date un’unica frase: “Giusto tra le Nazioni”, in ebraico.

La Rai il 28 e 29 gennaio 2002, in occasione del giorno della memoria, ha mandato in onda il film TV “Perlasca. Un eroe italiano”, nel quale il ruolo di Perlasca è stato interpretato da Luca Zingaretti.

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Il 31 gennaio nella storia

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