Da terremoti a piogge, alluvioni o epidemie


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Il linguaggio del rischio

Per gli esperti è quello scientifico p

Che siano terremoti, piogge, alluvioni, frane o epidemie, la comunicazione del rischio parla il linguaggio della scienza. La pensano così un linguista come Tullio De Mauro, un fisico come Giorgio Parisi, e Luciano Maiani, che proprio per questi problemi ha rassegnato le dimissioni dalla presidenza della commissione Grandi Rischi.

A sollevare il dibattito è stata la sentenza con la quale il tribunale dell’Aquila ha condannato i sette ricercatori della Commissione Grandi Rischi in carica nel 2009, che fecero le valutazioni sullo sciame sismico all'Aquila. Comunicare un rischio significa infatti esprimere probabilità, non certezze. E questo è più che mai vero quando si parla di fenomeni che allo stato attuale delle conoscenze sono impossibili da prevedere, come i terremoti. Se la scelta di un linguaggio rigoroso come quello matematico ''è la strada giusta'', per De Mauro ''il cuore del problema è la ricezione''. Secondo l'esperto ci ''sono mediocri livelli di competenza della popolazione che riceve i messaggi''. Dati recenti indicano infatti che ''l'81% della popolazione avrebbe difficoltà a capire di che cosa si sta parlando quando ci sono di mezzo dei numeri: questo è uno dei motivi per cui si invitano i ricercatori a parlare con un linguaggio diverso da quello dei numeri''. E' un'incompetenza, quella relativa al linguaggio dei numeri, che riguarda ''i singoli così come gli amministratori che dovrebbero controllare il rispetto delle norme antisismiche''.

La soluzione, secondo De Mauro, consiste nel ''far salire il 19% della popolazione che ha le competenze per comprendere il linguaggio dei numeri. Questo - rileva - non si fa con le sentenze, ma con la scuola e attraverso un processo di responsabilizzazione collettiva. E' un grande problema che abbiamo e che non riusciamo a risolvere''. Sulla stessa linea è il fisico Giorgio Parisi, per il quale ''la soluzione migliore è dare le stime di probabilità numericamente'' e poi ''far capire che se il livello di probabilità scende da uno su diecimila a uno su mille questo non vuol dire che si deve scappare''. Quello che si vorrebbe dalla scienza, ha aggiunto, è la ricetta pronta: ''ma non sono gli scienziati a dover dire come comportarsi. Un ricercatore può dire qual è la probabilità di un evento, ma poi è il sindaco che deve decidere il da farsi''. Ma perchè questa comunicazione funzioni ''diventa necessario fare educazione. Bisogna cominciare, altrimenti non se ne esce''. Anche secondo Maiani ''va fatto uno sforzo nel linguaggio''.

Su questo problema la commissione Grandi Rischi era al lavoro: ''era già sul tappeto da due mesi un tavolo per stabilire un codice di linguaggio che permettesse di tradurre il parlare scientifico in livelli operativi per la Protezione civile''. Qualcosa di simile a quanto viene fatto per la meteorologia o ai codici che al pronto soccorso indicano il grado di urgenza. ''Ma non ci siamo arrivati, anche perchè nell'imminenza del processo dell'Aquila molti meccanismi di comunicazione si erano interrotti in quanto molti tecnici erano impegnati nella difesa delle proprie posizioni. Ci aspettavamo un giro di boa, e invece...''.