La ricetta dell’economista filosofo Latouche


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Decrescita contro il collasso dell’Occidente

Il paradosso dello sviluppo illimitato s

di Francesco Chyurlia

Viviamo in una società che basa la sua stessa esistenza sullo sviluppo. Una società a crescita illimitata, che “come un ciclista, trova il suo equilibrio solo se pedala velocemente”. E’ uno delle tante suggestioni che l’economista francese Serge Latouche, semina a piene mani nell’aula dell’Università di Roma Tre, gremita di studenti che in collaborazione con il corpo docente hanno invitato per una conferenza il ‘profeta’ della decrescita.
“Nella medicina –sottolinea Latouche- la crisi dura solo un attimo. Poi il malato si avvia verso la guarigione o verso la morte”, ma questo non avviene nella realtà economica ormai da tanti anni. La crisi che stiamo vivendo sembra non avere fine: è iniziata il 16 settembre del 2008, data in cui la Lehman Brothers (uno dei maggiori operatori sui titoli di Stato americani) dichiarò il fallimento trascinando nel baratro l’universo finanziario ad essa collegato. E da questa crisi non siamo ancora usciti. Come un ciclone che si rafforza lungo il percorso, la crisi globale ha travolto i mutui sub-prime, i debiti sovrani, la finanza. Ma, come evidenzia l’economista francese, la crisi ha radici antiche: “Nel ’68 il mondo ha vissuto una crisi culturale, nel ’70 una crisi ecologica, nel ’90 una crisi sociale. E’ la stessa cosa che ora mette in crisi economia e filosofia. E che porterà al collasso dell’Occidente e della società americana”.
Ma Latouche va oltre: ci stiamo avviando verso il crollo di Eurolandia, intesa come progetto di mercato unico. “La cosa peggiore che può accaderci –dice ironico l’economista- è dover vivere in una società della crescita senza crescita”, caratterizzata da disoccupazione e austerità: un vicolo cieco in cui la natura viene immolata sull’altare di un’economia che fagocita tutto. Ecco perché, sottolinea, nasce l’idea della decrescita, ovvero una prosperità senza la crescita, o meglio dove a crescere sia la gioia di vivere e la qualità della vita. C’è, nel modello attuale, “l’illimitatezza nella creazione dei consumi. Questa società è durata in equilibrio per 30 anni ed è finita negli anni ’70, con la prima crisi del petrolio”. La speculazione che caratterizza questa società ha creato un enorme debito che è valutabile 16 volte il Pil del mondo. Il capitalismo azionistico, una della mutevoli facce del vecchio capitalismo, vive di speculazione invece di produrre. Per Latouche il mercato ha speculato anche sull’invecchiamento delle società occidentali inventandosi il business dei fondi pensione. Come? “Attraverso un’enorme propaganda attivata dalle assicurazioni per cui per creare risorse per mantenere il welfare, ognuno si deve finanziare la propria pensione”. E’ un modello economico che si basa sul nulla. “Sei disoccupato? Ti serve la casa? Comprala. Come? Indebitandoti. E questa dinamica ha immesso sul mercato una quantità incredibile di junk bonds che ammontano a circa 12 volte il Pil mondiale”. Latouche vede il “gioco perverso” dei governi occidentali che per compensare gli enormi debiti pubblici tagliano la spesa. “Ma più si taglia la spesa e più si aggrava la crisi . E’ un circolo vizioso. Nel G8 di Toronto, il presidente Usa disse: ‘Dobbiamo rilanciare l’economia’. E la cancelliera tedesca, Merkel, replicò: ‘ No serve l’austerità’. Il risultato fu: un po’ di rilancio e un po’ di austerità. E’ come se, guidando l’automobile, mettessimo un piede sul freno e uno sull’acceleratore”. Il quadro, a tinte scure, prevede una soluzione drastrica: quale? Per Latouche le strade da percorrere sono diverse: per l’Europa “si potrebbe prevedere di uscire dall’euro come moneta unica e affiancarlo alle monete nazionali. Riappropriarsi della moneta. Non lasciare alle banche la moneta che è un buon servitore ma non un buon maestro: la moneta deve servire –dice- ma non asservire”.
E la strada della decrescita, per l’economista-filosofo d’oltralpe, ha tre direzioni da percorrere: rilocalizzare, riconvertire e ridurre. “Bisogna ritrovare una sorta di autarchia verde, puntare nel chilometro zero, nella moneta e nell’investimento locale. Serve una riconversione ecologica, una difesa del territorio che freni la desertificazione di 16 milioni di ettari di foresta ogni anno. E infine si deve ridurre l’orario di lavoro: lavorare di più per guadagnare di più è una scempiaggine! Bisogna lavorare di meno per guadagnare di più e per vivere meglio: non si può diventare dei work alcolist”.

L’economista e filosofo francese presenta il nuovo saggio “Per un’abbondanza frugale”
Scrive Latouche: «Siamo imbarcati su un bolide senza pilota, senza marcia indietro e senza freni, che sta andando a fracassarsi contro i limiti del pianeta.» Che fare, allora? «Dobbiamo aspirare ad un miglioramento della qualità della vita e non a una crescita illimitata del PIL. Bisogna reclamare la bellezza delle città e dei paesaggi, la purezza delle falde freatiche e l’accesso all’acqua potabile, la trasparenza dei fiumi e la salute degli oceani. Esigere un miglioramento dell’aria che respiriamo, del sapore degli alimenti che mangiamo… C’è ancora molta strada da fare per lottare contro l’invasione del rumore, per ampliare gli spazi verdi, per preservare la fauna e la flora selvatiche, per salvare il patrimonio naturale e culturale dell’umanità, senza parlare dei progressi da fare nella democrazia…»

CHI È?
Serge Latouche è professore emerito di Scienze Economiche all’Università di Paris-Sud (Orsay), studioso molto noto nell’ambito dell’antropologia economica, tra gli animatori de “La revue de Mauss”, specialista dei rapporti economici e culturali nord-sud e dell’epistemologia delle scienze sociali nonché teorico della decrescita.