Walter Bonatti raccontato da Rossana Podestà


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'Una vita libera' in armonia con la natura

L’alpinista, lo scrittore, il reporter ma anche il privato di un uomo che ci ha fatto sognare w

di Paola Scaramozzino

Una domanda come tante a una conferenza stampa. “Signora Rossana Podestà con chi vorrebbe andare a vivere su un’ isola deserta?” E lei senza pensarci un attimo “Con Walter Bonatti”. Così comincia la storia di un grande amore vissuto insieme per 30 anni, fino al 13 settembre 2011, quando il più grande alpinista italiano di tutti i tempi, l’esploratore, l’uomo che a 24 anni ha scalato il K2, se ne è andato vinto da un tumore. Due mondi diversi. Lei, l’attrice famosa protagonista del neorealismo rosa, ragazza – copertina degli anni ’60, interprete di una sessantina di film fino agli anni ’80, bellissima con un fisico statuario, ironica, un sorriso disarmante che ammirava le imprese del “re delle Alpi”, del grande scalatore, della guida alpina, del documentarista, scrittore, e autore di grandi reportage per la rivista “Epoca”. Tutti e due alle soglie dei 50 anni, si sono incontrati per la prima volta sotto la scalinata dell’Ara Coeli a Roma, Bonatti sbagliò di un centinaio di metri l’appuntamento fermandosi ai piedi della scalinata del Milite Ignoto attirando polizia e carabinieri, e non si sono lasciati più. Questo libro “Walter Bonatti. Una vita libera - immagini, oggetti e memorie” (Rizzoli editore) è un grande segno d’amore che Rossana Podestà ha voluto rendere al suo compagno ma è anche una forte testimonianza della vita di un Ulisse moderno che per montagne , terre e mare cerca un rapporto stretto con la natura. Il libro che ha delle immagini molto suggestive racconta del Bonatti pubblico ma anche di quello privato. Ne parliamo con l’autrice, la signora Podestà e partiamo proprio dal loro primo incontro.

“Non lo conoscevo –ci racconta – se non per ciò che aveva fatto, ma posso dire che Walter era stato sempre nella mia testa. Quando ci siamo incontrati, e lui che ha girato il mondo ha sbagliato luogo dell’appuntamento, era perché era stata pubblicata quell’intervista in cui lo nominavo ed era curioso di conoscermi. Aveva quarantanove anni ed era bellissimo, perfetto, occhi verdi, una bella faccia. Nessuno mi ha mai entusiasmato come lui e con lui che allora aveva cinque fidanzate, un matrimonio e una convivenza decennale alle spalle, ho iniziato la mia nuova vita”.

E le ha insegnato a scalare le montagne. Non ha mai avuto paura o pensato “Ma chi me lo ha fatto fare?”
“Sempre. Ho urlato, pianto ma alla fine ci riuscivo. La prima volta è stato all’Argentario dove ho una casa a picco sul mare. Mi ha fatto scalare quella roccia e io ero impietrita dalla paura e non volevo fare quel passo che lui mi indicava. Nella mia idea, la montagna era da salire dal basso verso l’alto e non trasversalmente. Non lo capivo. Mi ha lasciato lì sospesa per ore, “ ti lascio lì finché non lo fai” poi mi sono convinta, mi è scivolato il piede ma lui era lì e mi ha ripresa. Abbiamo viaggiato tanto e dopo l’amore per le montagne è venuta la passione per la terra, i mari. Prendevamo una tenda e si partiva. Molte foto del libro fanno parte dei suoi reportage da terre sconosciute”.

Cosa ha determinato in Bonatti l’ unione con la montagna, questo essere solitario a contatto con la natura e sempre alla ricerca di nuovi obiettivi?
“Walter era uno scalatore ma anche un cittadino. Non era un montanaro nel senso rude del termine. Da bambino ha sofferto molto soprattutto dell’assenza della madre. Il padre aveva una piccola attività commerciale a Bergamo ma non si era sottomesso al regime. Non era un fascista e per questo gli fu tolto tutto. Per sopravvivere la madre trovò un lavoro lontano da casa e il piccolo a soli 4 anni fu mandato da una nonna materna “nera di vestiti e di umore”. Lì ha iniziato a vivere la sua solitudine attivando l’immaginazione. Il Po diventava l’Oceano, e verso i 15 anni, iniziava a sognare e a immedesimarsi con i personaggi dei racconti di avventura di Jack London, James Oliver Curwood o di Herman Melville. La nostalgia delle cose di casa, degli affetti e soprattutto della mancanza delle carezze della madre lo ha accompagnato per tutta la vita”.

Nel libro c’è una parte dedicata agli oggetti delle scalate. Calzini di lana, scarpe di cuoio, zaini di tela quasi improbabili, corde… Se si pensa agli attuali scalatori e alle attrezzature di oggi, le imprese di quei tempi si amplificano e diventano altro che eccezionali. Bonatti ebbe grandi gioie ma anche molte sofferenze come quella della scalata del K2 dove i suoi meriti furono negati per decenni”
“Ci sono voluti 50 anni perché gli fosse riconosciuto che l’impresa del K2 era riuscita grazie a lui, il più giovane di tutta la spedizione che aveva massaggiato e aiutato la guida Mahdi a non morire congelato, senza acqua, senza cibo a quota 8mila e 100 metri mentre era in corso una tempesta.” -ci dice la Podestà. Bonatti aveva portato l’ossigeno ai suoi compagni e poi non era potuto più scendere al campo base perché la guida non ce la faceva e sembrava impazzita. Con un piccone aveva scavato una nicchia nella neve e lì aveva atteso l’alba massaggiando sé e il suo compagno. Nel racconto ufficiale della spedizione, La conquista del K2, pubblicato nel 1955, il team leader Ardito Desio racconta le cose in maniera molto diversa. Citando Compagnoni e Lacedelli, Desio scrive che la coppia di testa non pensava che Bonatti e Mahdi invece di scendere sarebbe rimasta a bivaccare. Al mattino, quando videro il pachistano venire giù, "siamo rimasti sbalorditi... Abbiamo pensato a tutti i possibili motivi di quel gesto, tranne quello giusto. Come potevamo immaginare che i due fossero stati in grado di sopravvivere a una notte all'addiaccio a più di 8.000 metri di quota?". Tanti anni per arrivare alla versione vera di quei fatti. Scrive l’autrice:” Il K2 è un capitolo a parte della sua vita, uno snodo: perché l’uomo che vi salì è diverso da quello che vi discese, e che mai si ritroverà, vorrà trovarsi in quelle condizioni”. Bonatti era sopravvissuto al gelo del K2 in una notte del 1954 ma scrive “quello che mi ha ucciso sono mezzo secolo di menzogne”.

Vogliamo concludere questa intervista con un fatto dal risvolto molto amaro legato alle ultime ore di vita di Bonatti. Ricoverato d’urgenza in una clinica famosa della Capitale, alla signora Podestà, compagna da 30 anni di Walter, è stata negata la possibilità di stargli vicino proprio nel momento dell’addio perché non ne era la moglie ma “solo” la convivente.

Le sono arrivate almeno delle scuse dal personale sanitario della struttura?
“No, nulla, mai. Non mi perdono di non aver previsto che la situazione di Walter sarebbe potuta precipitare improvvisamente come è poi accaduto e di non essergli potuta stare accanto. Ma adesso c’è il libro, spero che questo serva a placare i miei sensi di colpa per l’accaduto”.

E vogliamo salutare Bonatti con le parole di Michelle Serra che sono anche citate nel risvolto di copertina di questo libro entusiasmante, intrigante come i libri dei racconti di avventura che il grande alpinista ha letto da ragazzo: “ Uno sguardo cristallino, morale fino all’ingenuità, sulle cose del mondo, della società, della politica, uno sguardo che sembra calibrato sui ghiacci, sulle rocce, sugli orizzonti della natura più che sugli ambigui paesaggi umani”.