Roma Filmfest


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La cupa estate di Franchi

Stallone simpatica canaglia con Hill

di Sandro Calice e Juana San Emeterio

Con mercoledì 14 si chiude la lista dei film italiani in concorso: l’ultimo è “E la chiamano estate” di Paolo Franchi, per il quale su tappeto rosso ci sono, insieme al regista, gli attori Isabella Ferrari, Jean-Marc Barr, Filippo Nigro, Luca Argentero, Eva Riccobono, Anita Kravos e Christian. L’altro film in concorso è il polacco “Ixjana” dei fratelli Józef e Michał Skolimowski, ma l’attenzione sarà probabilmente calamitata dal film fuori concorso “Bullet to the Head” di Walter Hill, che riceverà il Maverick Director Award, con Sylvester Stallone primo vero divo da red carpet.

Da segnalare, in Prospettive Italia, “S.B. Io lo conoscevo bene”, documentario su Silvio Berlusconi firmato da Giacomo Durzi e Giovanni Fasanella.

Giovedì 15 è il turno di un figlio d’autore, Roman Coppola in concorso con “A glimpse inside the mind of Charles Swan III”. L’altro film in concorso è “Un enfant de toi” del francese Jacques Doillon.

E LA CHIAMANO ESTATE

di Paolo Franchi, Italia 2012, drammatico
Fotografia di Cesare Accetta, Enzo Carpineta
con Isabella Ferrari, Jean-Marc Barr, Luca Argentero, Filippo Nigro, Eva Riccobono, Anita Kravos
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Un’operazione cerebrale prima che artistica - è la nostra sensazione - questo film di Paolo Franchi (“La spettatrice”, “Nessuna qualità agli eroi”), che si schermisce rispetto all’accoglienza molto critica ricevuta alla proiezione per la stampa, dicendo che “L'arte è egoista e io non ho la pretesa di arrivare a tutti, ma di colpire qualcuno. Vorrei che in uno spettatore su cento almeno si creasse, come diceva Deschamps, un 'rendez-vous' con se stesso”.

“E la chiamano estate” è la storia di una coppia di quarantenni che si amano moltissimo ma che non riescono ad avere rapporti sessuali, per colpa di lui, Dino, che solo in prostitute e coppie scambiste riesce a soddisfare, senza gioia, le sue pulsioni. Lei, Anna, resiste, perché in fondola sofferenza di lui la fa sentire unica e insostituibile. Lui, sinceramente innamorato ma distrutto dai sensi di colpa e di inadeguatezza, inizia a precipitare in una disperazione che lo porta a cercare tutti gli ex di lei, per capire ma anche per chiedere loro di tornare con Anna. Andrà sempre peggio.

Il film si apre con una citazione del celebre quadro di Gustave Courbet “L’Origine du monde”, un sesso femminile in primo piano. E, simbolicamente, ci indirizza sulla parte interessante di questo film, una riflessione sul sesso e sui rapporti di coppia non banale, non ipocrita, da una prospettiva originale per un film italiano, di fronte alla quale reagire con sufficienza o peggio con un risolino isterico denoterebbe appunto ipocrita ignoranza. Poi però ci pare che i meriti si esauriscano quasi tutti qui. Si capisce che Franchi ha masticato molto buon cinema (Antonioni e dintorni), e si capisce che citi Bergson per giustificare il montaggio della storia: ”Bisogna fare una considerazione trans-temporale di un rapporto di coppia, il tempo non viene concepito in maniera lineare, un po’ come in Bergson. Reiterare una scena dunque significa rileggerla e mi sembrava interessante realizzare un racconto che non si sviluppasse in senso longitudinale, dove passato, presente e futuro si mischiano”. Ma bisogna saperle maneggiare certe costruzioni, appoggiarle su sceneggiature solidissime, renderle digeribili, prima che intelligibili, al pubblico. E vale a poco il trincerarsi dietro la voglia di ricerca e sperimentazione se il rischio è di trovarsi in sala solo lo spettatore di Deschamps. Peccato, il tema meritava. (Sa.Sa.)



BULLET TO THE HEAD

di Walter Hill, Stati Uniti 2012, azione
Fotografia di Lloyd Ahern
con Sylvester Stallone, Jason Momoa, Christian Slater, Sarah Shahi, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Sung Kang
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Mettere insieme un regista culto per i film d’azione come Walter Hill (“I guerrieri della notte”, “48 ore”, “Streets of fire”, “Johnny il bello”, “Undisputed”) e un’icona come Stallone è stata sicuramente una buona idea.

Jimmy Bobo è un sicario di New Orleans vecchio stile: niente tecnologia, poche parole, possibilmente politicamente scorrette, molti fatti, modi da duro e cuore tenero. Taylor Kwon è un detective di Washington che è esattamente il contrario di Bobo. Alcuni criminali hanno la cattiva idea di far fuori i rispettivi partner, Bobo e Kwon sono costretti ad allearsi per trovare il killer.

“Bullet to the head”, ispirato al graphic novel “Du plomb dans la tete” di Matz e Wilson, è un classico poliziesco giocato sulla coppia “buono/cattivo” molto divertente, senza effetti speciali pirotecnici e con uno Stallone in forma strepitosa (non solo fisica), in un ruolo da duro talmente sopra le righe da essere irresistibile. A Roma Stallone sembra essersi divertito ancora di più che a recitare nel film. In Campidoglio ha ritirato la Lupa Capitolina e ha lanciato un appello per salvare Cinecittà. Ha poi incontrato i giovani della periferia romana di Tor Bella Monaca. E tanto per sentirsi giovane anche lui, in conferenza stampa ha confessato che Rocky è finito, ma Rambo potrebbe tornare presto. Intanto gustiamoci Jimmy Bobo. (Sa.Sa.)