Gli All Blacks, il mito

Sabato a Roma affronteranno gli azzurri haka_296

di Maurizio Iorio

Il rugby in Nuova Zelanda è una religione. Al pari di quella ufficiale. Non è un caso, probabilmente, che la squadra più forte del Paese si chiami “Crusaders” (i Crociati), e venga da una città con un nome parla da solo, Christchurch (la chiesa di Cristo), martoriata da un terribile terremoto lo scorso anno, al pari dell’Aquila, la città di Celestino V, una delle culle del rugby italiano, funestata anch’essa da un altro terremoto nel 2009. Chissà quale delle due confessioni costituisce la colpa per una punizione così severa. Lasciando ai posteri l’ardua sentenza, e venendo all’oggi, la notizia è che gli Dei della palla ovale, i leggendari All Blacks, arrivano in Italia, dove sabato 17 a Roma incontreranno i molto più terreni azzurri del ct Brunel. Se in patria gli All Blacks sono una religione, nel resto del mondo sono una leggenda. Ad accoglierli un Olimpico tutto esaurito, ottantamila spettatori che solo Vasco Rossi riesce a convocare, e che per il calcio sono ormai una chimera. Per come sta messa adesso l’Italia, che sabato scorso ha vinto con Tonga senza convincere affatto, per gli All Blacks questo test-match autunnale rischia di essere una formalità. Non lo fu quello di tre anni fa a San Siro, quando nel finale di partita furono messi sotto dalla mischia italiana e si salvarono per il rotto della cuffia con la complicità di un arbitro un po’ troppo compiacente. Ma, senza dover andare troppo indietro nel tempo per ricercare le batoste, due anni prima Richie Mccaw e compagni ce le avevano suonate per 76 a 14 ai mondiali di Francia. Anche per punirci dell’affronto di aver dato loro le spalle (ma di chi fu la splendida idea?) durante l’esecuzione dell’Haka, la loro danza rituale pre-partita, una sfida che nel Medioevo sarebbe stata lavata con il sangue. Questa volta gli azzurri li guarderanno negli occhi, senza abbassare lo sguardo, e senza farsi intimidire.

Un quindici leggendario

Il quindici neozelandese è mito, leggenda, realtà, orgoglio, furore, lealtà, rispetto, generosità, bellezza, santità. Li ha descritti alla perfezione Alessandro Baricco: “Che i veri eletti, per quello sport, siano i neozelandesi, lo capisci anche solo a vederli. Eleganti, facce d’angelo (non tutti, ma quasi), andatura da animali da preda. Violenza e velocità: nati per quello”. Quanto alla santità, “quasi ad imitazione del concetto cattolico di comunione dei santi, nel rugby esiste una comunità di giocatori e di spettatori – la tribù del rugby. ‘Santi All Blacks pregate per noi’, scrisse il poeta neozelandese M.K. Joseph nel suo capolavoro satirico, A Secular Litany. Tutti gli uomini e le donne che giocarono e guardarono il rugby tanti anni fa, tutti quelli di adesso e tutti quelli del futuro fanno parte della tribù del rugby (Spiro Zavos, in “L’arte del rugby”, Einaudi). Oscar Wilde scrisse che “il rugby era una buona occasione per tenere 30 energumeni lontani dal centro della città durante il fine settimana”. Gli ha risposto, un secolo dopo, John Kirwan, ex ala degli All Blacks ed ex allenatore dell’Italia: “La più bella vittoria l'avremo ottenuta quando le mamme italiane spingeranno i loro figli a giocare al rugby se vorranno che crescano bene, abbiano dei valori, conoscano il rispetto, la disciplina e la capacità di soffrire. Questo è uno sport che allena alla vita”.

Per gli azzurri una sfida impossibile

All’Olimpico, comunque vada a finire (gli All Blacks hanno rifilato 51 punti alla Scozia una settimana fa, e un bel 60 a 0 all’Irlanda nei test-match estivi), sarà una festa. I neozelandesi sono i campioni del mondo in carica, ed hanno vinto l’ultimo Rugby Championship (ex Tri-nations) senza fare prigionieri. Sarà uno spettacolo e un’emozione irripetibile, per chi potrà dire “c’ero anch’io”. Peccato che mancherà il capitano Richie Mccaw, sostituito dall’altro numero 8 Kieran Read, ed il cecchino Daniel Carter, al quale il ct Hansen ha preferito il giovane Aaron Cruden. Per loro non è un problema, gli All Black hanno una panchina ed una lista di aspiranti talmente lunga che potrebbero mettere in campo tre squadre in grado di seppellire di punti chiunque. Per quanto riguarda gli azzurri, il ct Brunel ha apportato 8 cambi rispetto alla formazione che ha battuto Tonga. Alle ali rientrano Mirko Bergamasco e Giovanbattista Venditti, in mediana Orquera rileva Burton e Gori prende il posto di Botes. Il terza linea Favaro sostituisce Barbieri, in seconda linea esordisce Francesco Minto e Pavanello entra in campo dal primo minuto, al posto di Furno e Geldehuys. Dal fischio d’inizio in campo anche Martin Castrogiovanni, per una prima linea da battaglia, con Ghiraldini e Lo Cicero.

La Haka

E’ una danza tribale di origine maori che gli All Blacks inscenano prima di ogni partita, rivolta ai propri avversari. Un mix di intimidazione, esibizione di coraggio, invocazione e ricerca della forza. La prima esibizione dell’Haka da parte della nazionale ufficiale venne tenuta nel corso del tour del 1905, durante il quale venne coniato il termine All Blacks per la prima volta.



Il rugby secondo:

Richard Burton: “Il rugby è un meraviglioso miscuglio tra il balletto, l’opera ed un efferato omicidio”.

Vincenzo Cerami: “L’aristocratico rugby è sport da muratori con tre lauree, da poeti incantati di fronte all’anello di Mobius. E’ una crittografia di Paolo Conte o un indovinello goliardico di Umberto Eco. Un rebus. Ha la bellezza di una contadina pettoruta con il secchio d’acqua, la quale, tornando dalla fonte, recita a memoria le poesie di Caproni. Somiglia allo sgelo della Bohème o a un notturno di Byron. E’ dipsomane come Poe, disperato come Nerval, pazzo come Tati”. Le città del rugby sono “gioielli, metafore dell’aspirazione alla perfezione che è della natura, stemmi di una nobiltà dell’anima e del corpo che nessun’altro sport di quadra potrà mai conoscere” (in “L’arte del rugby”)