Consiglio Ministeriale Esa


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L'economia dello Spazio

A Napoli il Consiglio Ministeriale dell’Esa, composto dai ministri dell’Istruzione e della Ricerca di 20 Paesi europei, ha assegnato i fondi, da erogarsi nell'arco dei prossimi tre anni, per lo sviluppo dei Programmi per lo Spazio. Dall’Italia arriveranno 1,2 miliardi di euro. L’intervista al ministro Francesco Profumo

di Emanuela Gialli
(e.gialli@rai.it)

Si è concluso alla Mostra d’Oltremare di Napoli, il Consiglio Ministeriale dell’Agenzia spaziale europea. I 20 Stati partecipanti, per la prima volta quest’anno anche Polonia e Romania, hanno deciso di stanziare, per le attività dello Spazio nei prossimi tre anni, 10 miliardi di euro, 2 miliardi in meno rispetto al budget indicato e proposto dal direttore generale dell’Esa, Dordain. Cifre da capogiro, in periodi come questi, che però servono a dare slancio e speranza alle economie dei Paesi europei. Compresa l’Italia, che contribuirà con 1 miliardo e 200 milioni. Un impegno, questo, sottoscritto dal ministro dell’Istruzione e la Ricerca, Francesco Profumo, che ha rilasciato un’intervista a Televideo, proprio di ritorno da Napoli.

Il direttore generale dell’Esa ha portato a Napoli una proposta di Programmi per 12 miliardi, ne ha ottenuti 10, con una direi ottima partecipazione dell’Italia. E questo conferma che i Paesi maggiori contributori sono sempre gli stessi: Germania, Francia e Italia.
L’Italia ha confermato il suo ruolo, in questa fase molto importante, per la ricerca e lo sviluppo industriale nello Spazio ed ha confermato in termini di risorse la sua partecipazione, come terzo contributore all’Esa. Alla Ministeriale ha anche svolto un ruolo politico rilevante: sono state infatti indicate come priorità per l’Agenzia europea quelle dal nostro Paese individuate. Quindi siamo molto contenti per il lavoro che è stato fatto e soprattutto per il risultato industriale ottenuto, che significherà un lavoro di qualità per le nostre aziende.

Forse è il caso di spiegare ai nostri lettori, che sono una parte dei cittadini, che i contributi assegnati dall’Italia, di circa 1 miliardo e 200 milioni, per tre anni, ritornano in qualche modo indietro sottoforma di contratti per le industrie.
Sì, sono risorse che passano attraverso l’Agenzia spaziale italiana, vengono “mescolate”, mi lasci dire, con le risorse degli altri Paesi e poi ritornano al nostro Paese in termini di commesse per le nostre aziende. Naturalmente con un valore molto più elevato perché c’è il contributo delle migliori competenze, delle migliori idee dei Paesi che partecipano all’Agenzia, che sono diventati 20, con l’ingresso della Polonia.

Rispetto agli altri anni, l’Italia ha ridotto o aumentato il budget da destinare allo Spazio?
Abbiamo conservato i 400 milioni all’anno, e, in un momento di difficoltà come questo, non è stato altrettanto per altri Paesi. Direi che il risultato in assoluto più importante per l’Italia è il progetto Vega, il lanciatore italiano, che vedrà la partecipazione di un nuovo Paese, la Germania, in aggiunta a Olanda e Francia. Per cui questo che era un progetto prevalentemente nazionale è stato riportato a livello europeo e diventerà, nella sua formulazione successiva di nuova generazione, uno degli elementi in connessione con la nuova famiglia di lanciatori europei. E ciò è importante sia dal punto di vista del ritorno in termini di risorse, sia dello sviluppo di una tecnologia italiana per lo Spazio, in Europa.

Dotare l’Europa di lanciatori, vuol dire fare in modo che abbia propri mezzi di trasporto per trasferire nello Spazio i satelliti, di cui tutti noi ci avvaliamo, quelli meteorologici o per le telecomunicazioni. Però apprendiamo anche che i lanciatori, che costano molto, una volta inviati, non sono riutilizzabili, quindi sarebbe come dire che sono soldi persi. E allora i fondi stanziati per lo Spazio tornano indietro nel nostro Paese in quali settori? Nella Ricerca o vanno a contribuire all’Economia generale del Paese?
L’interazione dello Spazio con l’economia è sempre più vasta. Le applicazioni dello Spazio infatti sono certamente nel settore delle telecomunicazioni, della meteorologia, ma anche della sicurezza. Dunque, c’è una grandissima attività di sviluppo di servizi attraverso i satelliti. Ma la catena in effetti è molto più complessa: c’è il lanciatore, ci sono i satelliti e ci sono soprattutto i servizi. Molti dei Paesi che partecipano all’Agenzia spaziale europea, pur non essendo dei produttori di componenti industriali per lo Spazio, sono molto interessati alla partecipazione per i servizi. Quindi è un processo molto più ampio: le risorse sono risorse che ricadono sui servizi destinati ai cittadini.

Però la parte “lanciatori” ha una certa rilevanza anche sotto il profilo della sicurezza e della difesa. Infatti ai progetti che sviluppano questi strumenti partecipa, spesso, ad esempio, il ministero dell’Aeronautica. E’ forse questo l’aspetto che un po’ sfugge agli utenti finali.
In realtà, le attività dello Spazio sono duali: operano sia nel settore della Difesa che nel settore civile. E molti degli sviluppi si concretizzano magari in uno dei due poi però vengono utilizzati anche dall’altro. Lo sviluppo dello Spazio è molto vasto anche da questo punto di vista e quindi fa parte delle strategie di tanti Paesi avere tecnologie proprie dello Spazio.