>>Guarda la cartina della cosiddetta 'Linea Morgan' (leggi la descrizione a piè pagina)
"Nell’autunno del 1953 siamo state cacciate dall’Istria con i fucili in mano. Quella notte sì che la ricordo. Dormivo, con mia sorella Sandra, nella cameretta al primo piano della nostra casa a Isola. Fummo svegliate dai rumori e trovammo mamma, nell’atrio, accerchiata da uomini e donne armati e in divisa. La vedevamo dall’alto, ci dava le spalle, era così indifesa nella sua lunga camicia bianca. La spingevano, la strattonavano, le sputavano in faccia, urlando: “Vattene da qui! Fuori da qui sporchi fascisti! E andatevene a Roma, non fermatevi a Trieste perché anche quella sarà nostra”. Io svenni e questo forse li indusse a mollare la presa. Un paio di settimane - il tempo per mamma di ottenere il permesso di salutare mio padre in carcere- ed eravamo su un camion scassato, con la poca roba che ci avevano lasciato prendere, dirette a Trieste. Al confine ci aspettavano Vitti e Gianna che stavano già là. Le mie belle sorelle avevano vent’anni o poco più. Un’adolescenza solare, in un collegio di suore francesi, a Trieste, bruscamente interrotta dall’arresto di papà. Finito il liceo, avevano dovuto pensare a mantenersi e si erano messe entrambe a lavorare. Ora dovevano anche pensare a noi: a me, sei anni, che per lo choc ero rimasta muta; a Sandra, tredici, espulsa prima dalla sua scuola e poi dalla sua casa. A mamma, che dopo anni vissuti da vera combattente, abbandonando l’Istria e suo marito rinchiuso là, aveva avuto un crollo fisico e nervoso. Venne ricoverata in ospedale per tre mesi, alle sorelle grandi non restò che mettere noi piccole in collegio. Un istituto per poveri, ben diverso dall’elegante 'Notre Dame de Sion' che avevano frequentato loro. Ne usciamo, Sandra e io, nel giugno del ’55".
"Pochi mesi dopo, in settembre, anche papà uscirà dal suo. Non scherzo: papà lo chiamava davvero collegio. Negli anni che seguirono, a me non raccontò di quando, in isolamento e sotto torture, tentò di tagliarsi i polsi con un vetro per non farsi estorcere confessioni a danno di altri detenuti, o di come si 'consumò 30 chili di carne' (ed era già magro di costituzione) nei lavori forzati. Questo lo lessi dopo. Mi parlava del suo 'collegio' con ironia, facendomi anche ridere… Forse perché ero la più piccola. O per una sorta di pudore: un modo per mettere distacco, e rivisitare con lievità una sofferenza che non è stata solo fisica o psicologica. Fortissima, come ha lasciato scritto, quella morale: ultima della serie, l’essere tornato libero grazie a uno scambio tra prigionieri politici e delinquenti comuni".
"Papà, condannato a 12 anni nel ’48, fu rilasciato dopo 7 (anzi 7 anni,6 mesi, 7 giorni, come scrive) non perché avesse inoltrato domanda di grazia personale, ma in seguito al “Memorandum di Londra” (leggi 'Il caso Drioli'). Per lui, processato da un tribunale militare perché al 'servizio degli agenti dell’imperialismo' (il Cln), fu umiliante vedersi barattare con un ladro e un assassino. I quali, beffa nella beffa, una volta usciti, si guardarono bene dal tornarsene da Tito...".
“'Un patriota italiano di sentimenti antifascisti, che fuggiva in zona A per vivere più tranquillo, io lo consideravo un disertore che abbandonava la trincea. M’imposi il dovere di rimanere sul posto a sostenere la causa istriana'. Lo abbiamo trovato scritto nel reticolo di appunti che ha lasciato. Ecco, questo era papà. 'Patriota': attore (qualcuno lo ha definito eroe) di quel Risorgimento incompiuto che non ha salvato l’Istria. Si definiva 'mazziniano storico'".
"Era nato nel 1901: l’Istria apparteneva all’Austria, lui e il suo fratello maggiore, Augusto, volevano vederla riunita all’Italia. Non si limitarono a desiderarlo. Zio Augusto, giovane studente a Vienna, partecipò a una manifestazione contro Francesco Giuseppe, strappò la bandiera austriaca e inalberò una italiana. Messo in prigione, si prese la Tbc e morì. Papà raccolse la staffetta irredentista e combatté l’occupazione titina. Antifascista, entrò, con il partito d’Azione, nel Cln. Mi raccontava delle discussioni accese tra il partigiano comunista italiano e quello comunista sloveno sul futuro di Trieste e dell’Istria. Per papà non c’erano dubbi: quando, caduti i nazisti, Trieste divenne zona A sotto gli angloamericani, e l’Istria zona B, in mano a Tito, considerò un dovere iniziare una seconda Resistenza. Ricostituì il Cln dell’Istria, con sede a Trieste. Unico fra i partecipanti a essere rimasto 'sul posto a sostenere la causa', fece la spola avanti e indietro per tre anni, finché il 27 febbraio del ’48, venne preso e ammanettato".
"A papà fecero un processo che nell’intento del regime doveva essere 'esemplare'. Si tenne a Capodistria, diffuso dagli altoparlanti nella piazza. Trascorse i primi due anni in isolamento, poi cominciarono a trasferirlo da un carcere all’altro. Per noi, il clima a Isola non era dei più propizi, ma per non perderlo di vista mamma non volle scappare a Trieste. Non avevamo più un soldo, il negozio di tessuti e abbigliamento era stato chiuso. Si campava con un sussidio del Cln, ma soprattutto con l’ingegno di mio nonno Giovanni che di notte, su una piccola barca insieme a mamma, faceva contrabbando di cinture e disinfettanti fra Isola e Trieste. Nonno Giovanni era un pescatore. Socialista, poi comunista della prima ora, aveva avuto una barca più grande, che aveva chiamato “Primo Maggio”. I fascisti gliela bruciarono. I comunisti gli misero in galera il genero. Quella di nonno è una lacerazione che ha attraversato tante famiglie, in quel confine di Nordest. Come mi disse mio padre, un giorno del ‘75: 'Siamo stati un cuscinetto nella storia'. Avevano appena firmato il trattato di Osimo, che cedeva definitivamente l’Istria alla Jugoslavia. Due anni dopo morì d’infarto".
La linea Morgan, prese il nome dal generale William Morgan, ufficiale del generale Harold Alexander, comandante degli Alleati in Italia. L'accordo sulla linea Morgan venne firmato a Belgrado il 9 giugno 1945 da Tito e Alexander. Il 12 giugno 1945 l'esercito Jugoslavo abbandò i territori della zona A. La linea suddivideva la Venezia Giulia in due zone di occupazione militare: la "zona A" (Esercito inglese e americano), che comprendeva Gorizia, Trieste, la fascia di confine fino a Tarvisio e l'enclave di Pola; la zona "B" (Esercito jugoslavo) comprendeva Fiume, l'Istria e le isole del Quarnaro. Successivamente, dopo la firma del trattato di pace di Parigi del 3 luglio 1946 con il termine Zona "A" e "B"' si sottointesero due zone più ristrette rispetto quanto previsto dalla linea Morgan, due zone riguardanti il territorio di Trieste e località contermini, nota come "questione triestina" che si risolse in modo definitivo solo con il trattato di Osimo