10 febbraio - Il Giorno del Ricordo


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Il lungo esodo

Intervista a Raoul Pupo, docente di Storia contemporanea all’università di Trieste foibe4_296

Raoul Pupo è stato uno dei promotori, dalla fine degli anni '80, del rinnovamento degli studi storici che hanno sollevato il velo sulla tragedia delle Foibe e dell'esodo. Lo abbiamo incontrato in occasione della celebrazione del Giorno del Ricordo.

Professore, cosa furono le foibe e quante le vittime tra il '45 e il '47 a Trieste, Istria e Dalmazia?
Per “foibe” s’intendono le violenze di massa a carico di civili e militari residenti nei territori della Venezia Giulia passati sotto il controllo jugoslavo. Le stragi ebbero luogo in due momenti: dopo l’8 settembre 1943, soprattutto in Istria e dopo il 1 maggio 1945 soprattutto a Trieste, Gorizia e Fiume. Talvolta le uccisioni avvennero sul posto, e i cadaveri vennero gettati nelle cavità naturali (foibe) e minerarie molto diffuse sul territorio. In molti altri casi gli arrestati vennero inviati nei campi di prigionia, dove la mortalità fu elevatissima. Gli arrestati e uccisi fuono in grande maggioranza italiani, ma la repressione colpì anche sloveni e croati ostili al regime di Tito.

In Italia si parla di 10mila persone e oltre. E' una cifra corretta?
Le stime sono difficilissime e questo ha concesso spazio ad una macabra contabilità della morte. E’ probabile che l’ordine di grandezza degli scomparsi si aggiri fra le 4 e le 5000 unità, considerando tutta la Venezia Giulia ed entrambi i periodi.

Nel maggio '45 i partigiani jugoslavi occuparono Trieste. Quei 40 giorni vengono considerati e raccontati come il culmine delle violenze anti-italiane. Come va inquadrato questo periodo?
Nella Venezia Giulia, come in Slovenia e in Croazia nel maggio ’45 si ebbe la liberazione dai tedeschi e la presa del potere da parte del movimento partigiano jugoslavo a guida comunista. Ciò portò ad un bagno di sangue, perché vennero eliminati tutti i “nemici del popolo”, cioè coloro che avevano combattuto dalla parte dei tedeschi e che si opponevano al nuovo ordine. I domobranzi sloveni uccisi furono almeno 10000, gli ustascia croati fra i 40 e 60 mila, i cetnizi serbi un numero imprecisato, ma assai elevato. Nella Venezia Giulia “nemici del popolo” furono considerati i fascisti – termine inteso con un significato molto largo – i rappresentanti dello stato e quanti si opponevano all’annessione della regione alla Jugoslavia. Fra questi c’erano anche antifascisti e addirittura membri del Comitato di liberazione nazionale e delle unità partigiane non comuniste che erano insorte contro i tedeschi ma non obbedivano ai comandi jugoslavi.

Dopo queste violenze ci fu l’esodo da Istria e Dalmazia. Si parla di 350mila italiani che sarebbero partiti dopo il '45. Si tratta di cifre attendibili?
Con l’espressione “l’esodo dei giuliano-dalmati” si intende l’allontanamento forzato della quasi totalità della popolazione italiana dai suoi territori di insediamento storico in Istria, a Fiume e a Zara, passate sotto il controllo jugoslavo nel secondo dopoguerra. L’allontanamento non è avvenuto a seguito di provvedimenti formali, ma di pressioni ambientali, che hanno reso la situazione invivibile per gli italiani. Così, quando il Trattato di pace del 1947 e poi il Memorandum d’intesa del 1954 hanno concesso agli italiani rimasti in Jugoslavia il “diritto di opzione” per la cittadinanza italiana, accompagnato dall’obbligo di abbandonare le loro case, quasi tutti hanno scelto la via dell’esilio come unico modo per mantenere la loro identità. Quanto alle cifre, il problema non è quello del numero complessivo, che è funzione della quantità di popolazione italiana presente (nel 1936 circa 250 mila), ma della proporzione: questo vuol dire che degli italiani se ne andò circa il 90%, e quindi possiamo parlare della scomparsa pressoché totale della componente italiana. Ad essi si aggiunsero alcune decine di migliaia di sloveni e croati. Comunque, le stime più recenti sono quelle di Olinto Mileta, riassunte nel seguente grafico: