>>Guarda la cartina delle migrazioni forzate in Europa ('44-'56)
"Avevo un dirimpettaio, un amico con il quale ci si guardava in cagnesco. A volte ci si sputava. Lui era al secondo piano, io al primo. Quando la gente è andata via io ho conquistato il terzo piano ed ero felice, perché potevo sputargli dall'alto. Continuammo a sputarci per 5 o 6 giorni, per poi accorgerci che eravamo rimasti soli. Da una parte all'altra della via non era rimasto più nessuno. Diventammo amici. Questo dell'esodo il ricordo che più mi ha traumatizzato. Avevo 11 anni e e non mi ero accorto che la gente era scappata. Questa è per me il Giorno del Ricordo.
Così racconta Giovanni Radossi, direttore del Centro ricerche storiche dell'Unione Italiana con sede a Rovigno. La sua famiglia decise di restare, e lui, da adulto, ha deciso di lottare per la salvaguardia di una cultura e di un'identità, quella italiana, pur sapendo che non sarebbe stato facile. "E' la base su cui costruire per tramandare all'Europa di domani ciò che ieri è stato un passato tutto nostro, e oggi non lo è più. Nell’Istria croata gli italiani registrati sono circa 30mila, nell’area slovena sono una piccola minoranza. Lì la 'pulizia' è stata efficace. L’Istria negli anni successivi all’esodo ha accolto tante popolazioni, anche serbi. E’ stato un contributo alla convivenza con la maggioranza croata del territorio.
Lei vive a Rovigno. Come affrontare nell’Istria di oggi il ricordo delle foibe?
Come Centro ricerche storiche, di cui sono il direttore, abbiamo affrontato per la prima volta questo tema in un libro, “Istria nel tempo”, dedicato alle scuole. In Italia non c’è accenno nei testi scolastici né dell’esodo né delle foibe. Lo abbiamo distribuito in 8.000 copie nelle scuole italiane dell’Istria croata e slovena. Ci sono immagini e ricostruzioni di quel periodo storico che per queste popolazioni sono ancora un tabù. E’ stato un fenomeno di ferocia inaudita. Le persone, dopo la guerra, sparivano. Non ci sono motivazioni che possano giustificare un eccidio di così vaste proporzioni e di così grande crudeltà. In ogni famiglia c’è questo strascico tremendo dell’infoibamento. Ancora non sono maturati, nelle coscienze degli storici croati e sloveni, i momenti cardine per affrontare questa materia. C’è in alcuni la consapevolezza che queste terre sono state tolte come bottino di guerra, però l’apertura non è totale.
Come trasmettere alle generazioni future questa triste pagina della storia?
Bisogna farlo attraverso le scuole. Nelle scuole croate questo tema non viene affrontato, per questo abbiamo distribuito il nostro libro anche lì. Finché non si affronteranno questi temi con sistematicità non se ne potrà uscire. Abbiamo però in questo un alleato: i drammi che anche le maggioranze hanno vissuto nel primo dopoguerra. Oltre 200mila persone liquidate dalle truppe partigiane nella Croazia settentrionale (truppe di Pavelic) e nella Slovenia, truppe sbandate di cetnizi e ustascia che avevano però con sé anche i familiari. Volevano consegnarsi agli alleati degli inglesi in Austria, scapparono in quella direzione, ma gli inglesi li consegnarono alle truppe di Tito che, in maggior parte, li liquidarono. Era il maggio del 1945. Le fosse comuni sono una realtà che sta venendo a galla e anche la chiesa croata sta denunciando questo. Quello che è difficile da far passare è che il fascismo, con tutte le nefandezze che ha fatto, non è riuscito a liquidare croati e sloveni. Il socialismo successivo, venuto per vendicare, ha cancellato un’intera etnia. Nel 1953, nel primo censimento a esodo concluso, risultavano in Istria 70mila italiani. Nel 1981 solo 11mila.