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22 febbraio

Muore Amerigo Vespucci, nasce George Washington, nasce Giulietta Masina, viene clonata la pecora Dolly

di Luca Garosi

Usciva ogni sera, per andare a un party, a una discoteca, a una prima, o semplicemente al ristorante "giusto". Da anni la sua divisa era sempre la stessa: jeans, camicia di uno dei negozi più eleganti e tradizionali di Manhattan, giacca di velluto nero (''ho trovato il giusto compromesso per essere sempre pronto ad andare ad un ricevimento elegante o per una passeggiata''). La divisa comprendeva anche un immancabile accompagnatore: solitamente di sesso femminile, bella e appartenente al jet set. Più importante ancora: ogni volta che metteva i piedi fuori di casa portava sempre con sé una macchina fotografica, alla quale negli ultimi tempi - da attento osservatore degli sviluppi della tecnologia - univa anche una videocinepresa.

Andy Warhol, "il principe della pop art" morto il 22 febbraio 1987 a New York per complicazioni cardiache in seguito ad un'operazione alla cistifellea, è stato definito colui ''che ha visto con più chiarezza la nostra epoca'' (come scrisse il Washington Post dopo la sua scomparsa). I critici americani non hanno mai sottovalutato il ruolo di un personaggio molto spesso accusato di avere trasformato “l'arte in business”. Un fatto, questo, che Warhol ammetteva apertamente.

Una delle sue frasi provocatorie era che la parola inglese arte, cioè 'art', non era altro che un nome maschile. Dietro questo apparente cinismo e distacco, però, Warhol è stato sempre un maniaco perfezionista del lavoro. Un fatto, questo, di cui gli è stato sempre dato atto. I prodotti quasi infiniti della sua fantasia, pur essendo all'apparenza banali riproduzioni - ripetute spesso fino all'ossessione - di manufatti della realtà industriale e commerciale di tutti i giorni, erano in realtà studiati e preparati con una cura maniacale.

Era nato il 6 agosto 1928 a Pittsburgh in Pennsylvania. Figlio di un emigrante cecoslovacco, il suo vero nome era Andrew Warhola, aveva iniziato a lavorare come illustratore di moda. L’ingresso nel mondo dell'arte, e in particolare della cultura pop, avvenne in seguito al successo registrato da un suo ormai famossimo lavoro di riproduzione-interpretazione dei barattoli della zuppa Campbell.

Il successo arrise a Warhol piuttosto presto. Dopo essersi diplomato in arte nel 1949 all’Università Carnegie Mellon della sua città natale, Warhol fece una serie di lavori saltuari, tra cui il venditore ambulante di verdura. Si trasferì a New York e, qui, dopo non molto, cominciò a farsi notare. I primi riconoscimenti gli vennero dal mondo della pubblicità. Nel 1957 vinse la medaglia dell'art directors club per un annuncio per un'azienda di scarpe.

Poco dopo ebbe la trovata della riproduzione della zuppa Campbell, un'idea che probabilmente in un altro periodo sarebbe passata inosservata ma che - arrivata al momento giusto - assurse a simbolo dell'arte pop allora emergente.

Da allora Warhol divenne una presenza costante e obbligatoria a tutti gli avvenimenti culturali e socio-mondani di New York e degli ambienti artistici internazionali. Con la sua inconfondibile figura segnava il successo di una serata e di un'iniziativa artistica.

Regista di film diventati ormai dei classici dell'underground girati in uno studio che aveva comprato a Manhattan denominato ''The Factory'', Warhol aveva creato e dirigeva anche una rivista, ''Interview'', dove mescolava abilmente pubblicità e anteprime sui personaggi emergenti della cultura metropolitana.

Warhol fu spesso al centro di episodi di cronaca, rimanendo tra l'altro vittima di un tentativo di omicidio. Una delle attrici dei suoi film, Valerie Solanos, gli sparò con una pistola calibro 32 ferendolo ai polmoni, al fegato, alla milza e allo stomaco. Si scoprì che la donna faceva parte di una “società per eliminare gli uomini”.

Ossessionato dalla morte ("è una cosa alla quale non credo perché sicuramente non sarò presente per poterla controllare") la faceva costantemente venire in mente col suo pallore, la sua magrezza, la sua parrucca platinata. Buona parte dei soggetti delle inconfondibili riproduzioni fotografiche sulla quale effettuava degli interventi grafici e di colore, erano personaggi famosi deceduti. Celebratissima è, per esempio, la sua ''Marilyn Monroe''.

Passava con assoluta indiffereza, e usando la stessa tecnica, ai protagonisti viventi del jet set internazionale. Per lui, cioè, vita e morte non facevano differenza. Col suo sguardo perennemente assente, quasi autistico, (''sembrava sempre mezzo morto'' ricordava il New York Times) guardava l'intervistatore e poi gli diceva di scrivere ciò che voleva. “Anzi: ditemi ciò che volete che diva e lo dirò”. Per lui “nulla era eccitante, nulla era sexy” e non c'era nulla “che non fosse imbarazzante”.

L’automatismo e il vuoto della società contemporanea lo affascinavano. “Le fotografie che preferisco - ripeteva - sono quelle che la gente si dimentica di ritirare dal negozio del fotografo”.

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Il 22 febbraio nella storia

1512: Muore Amerigo Vespucci 1732: Nasce George Washington 1920: Nasce Giulietta Masina 1997: Viene clonata la pecora Dolly

 

 

 

Pagina realizzata in collaborazione con Rai Teche.