GRAN TORINO

  di Sandro Calice

  GRAN TORINO
  di Clint Eastwood, Usa 2008 (Warner Bros Italia)
  Clint Eastwood, Bee Vang, Ahney Her, Christopher Carley,
  Austin Douglas Smith, John Carroll Lynch, William Hill, Chee Thao,
  Choua Kue, Brooke Chia Thao, Scott Eastwood

  “Non so se avete notato che ogni tanto nella vita si incontra
  qualcuno che non bisogna far incazzare. Ecco, quello sono io”.
  Sembra una frase alla Callaghan, il celebre ispettore di San
  Francisco interpretato da Eastwood negli anni ’70. Ora però
  immaginate un “Callaghan” anziano e burbero, che vive in una città
  e in un mondo che non riconosce più, attorniato da immigrati che 
  non capisce, con una casa e un’auto uniche compagne. L’effetto è 
  così straniante che si può solo scoppiare in una risata. O riflettere. E godersi un film che è l’ulteriore conferma che Eastwood è un grande regista.

Walt Kowalsky è un reduce della Guerra di Corea e un meccanico in pensione che ha appena perso la moglie e che vive da solo nella sua vecchia casa alla periferia di Detroit. Walt riempie le sue giornate bevendo birra in compagnia del suo cane Daisy, andando dal barbiere una volta al mese e soprattutto prendendosi cura della sua auto, una Gran Torino del ’72, lucida come uscita dalla fabbrica, che tiene sotto un telo nel garage. Aspetta che la vita passi, insomma. I suoi vecchi vicini sono stati sostituiti da immigrati provenienti dal sudest asiatico che sopporta ancor meno dei figli, lontani ed estranei. Ma una notte qualcuno tenta di rubargli la macchina: è Thao, il vicino di casa adolescente che una banda di teppisti ha costretto a quel rito di iniziazione. Walt sventa il furto e si mette, suo malgrado, tra Thao e la banda. Sarà l'inizio di una strana amicizia, che lo costringerà a mettere in discussione il suo mondo e la sua intera vita.

Con “Gran Torino” Eastwood torna a recitare dopo “Million Dollar Baby” (2004). L'ha fatto perchè la sceneggiatura originale di Nick Schenk sembrava disegnata su di lui. Ed è una sceneggiatura splendida, senza sbavature, che costruisce e fa crescere ogni personaggio con due battute. Walt Kowalsky è un uomo lineare, elementare, che non ha fatto e non vuol fare i conti con la sua vita. Ha combattuto, ucciso, lavorato sodo in fabbrica, si è fatto una famiglia: tanto gli basta a dire di essere a posto con la coscienza. Ma non lo è, ed è arrabbiato per questo. Vive col fucile carico a portata di mano e si prende maniacalmente cura della casa, del giardino e della Gran Torino perchè non è in grado di prendersi cura di se stesso. E quando glieli toccano, il prato e l'auto, esplode. Ma sarà una scoperta: capire che quei vicini di etnia Hmong hanno valori che apprezza e un passato più crudo del suo, apre una fessura nella scorza del suo cuore. Anche perchè, riflette ad un certo punto, “ho più cose in comune con questa gente che con i miei figli viziati e fannulloni”. E qui, per certi versi, siamo dalle parti di “Non è un paese per vecchi”. Così regala anche momenti autenticamente esilaranti il cammino del burbero verso la tenerezza e la consapevolezza. Un cammino percorso in fretta, verso il catartico finale.