di Francesco Chyurlia
E' il numero due nella più grande realtà di informatica del mondo: la Microsoft. Il braccio destro di Bill Gates in qualità di Vice Presidente della Microsoft Corporation. Umberto Paolucci che è anche presidente della Microsoft Italia, è un 64enne ravennate, le cui capacità manageriali hanno attraversato l'oceano. Lo incontriamo a Villa D'Este a Cernobbio sul lago di Como, in un convegno economico della fondazione Ambrosetti organizzato dalla Confcommercio. A lui che conosce bene la nostra realtà, oltre a quella degli States, chiediamo cosa possa fare l'Italia per risalire, il più presto possibile la china dei nostri ritardi resa più ripida e scivolosa dalla crisi storica che stiamo attraversando.
"Una crisi, come quella che stiamo vivendo, può rappresentare un'opportunità. Quando la ripresa ci sarà, bisognerà fare delle scelte, sapere cosa non dover più fare, quali scommesse lasciare perdere e su dove vale la pena, invece, puntare. Credo che vada varato un piano-Paese, un piano di lungo periodo, strategico, che scaturisca da una dialettica tra maggioranza e opposizione che permetta di fare queste scelte. Quindi vanno delineati sacrifici e rinunce che permettano di reperire le risorse per scelte più oculate"
E quali sarebbero queste scelte?
"Una delle aree, molto trasversali, che influenzano tutte le altre è quella della digitalizzazione, quella delle infratrutture informatiche, quella delle reti. Che sono condizione necessaria, ma non sufficiente per la ripresa di qualunque settore. Noi accusiamo un ritardo, un deficit storico, noi abbiamo investimenti in information technology che sono circa la metà per addetto rispetto ai nostri partner europei. E' dimostrato da molti studi che gli investimenti in information technology si traducono in produttività, in competitività, in crescita sia a livello micro, in ogni singola impresa, che a livello macro macro, sul Pil".
Quali sono i rischi di tali ritardi?
"Il rischio è di perdere oltre 40 mila posti di lavoro in questo settore, che possono arrivare a 70-80 mila assommando quelli dell'Ict della Comunication Technology (10% del totale). Il che si traduce in un danno per queste imprese e per tutto il tessuto economico. Queste imprese sono piccole e hanno, in media, una dozzina di dipendenti e sono molto poco 'ammortizzate'. Questo è il motivo per cui andrebbero messe all'ordine del giorno nel dibattito di questa crisi".
Lei crede nella necessità di varare una manovra che investa, almeno, un punto di Pil?
"Per colpa del nostro debito storico pregresso noi abbiamo fatto relativamente poco rispetto agli altri in ordine allo sviluppo. Ma sarebbe suffiente sbloccare per esempio le dinamiche lente di pagamento della Pubblica Amministrazione ai suoi fornitori, in modo che anche le banche possano finanziare questi crediti una volta che sono certi e garantiti. E' sufficiente pensare a forme premiali per le imprese che investono, che lavorano positivamente sul loro capitale e che continuano a credere nelle loro prospettive. E' sufficiente tenere d'occhio le imprese capaci di ridisegnarsi, di reinventarsi, di avere una strategia di medio-lungo periodo. Qui il digitale ha un ruolo fondamentale: quello di fare di più con meno, che è quello che tutti hanno bisogno di fare. Purtroppo su questo campo noi siamo indietro".
Ritiene che la crisi abbia messo in forse le certezze del libero mercato, panacea per tutti mali, nella sua capacità assoluta di autocorrezione?
"Il mercato è inciampato in diversi ostacoli, è passato di 'bolla' in 'bolla', in questi anni: la bolla di internet, la bolla immobiliare e ora la bolla della finanza e del credito al consumo in alcuni Paesi. Il mercato ha sofferto di diverse distorsioni. La crisi non va sprecata, ma va valorizzata per tutto quello che ci può dare. Bisogna creare un altro ciclo di sviluppo".