''Bisogna essere matti per fare il comico'', diceva Jerry Lewis nel 2004, di passaggio a Roma (su una sedia a rotelle) per promuovere una campagna contro il dolore. Da quando, nel '67, un incidente gli ha leso il midollo spinale, la sua vita è stata un calvario, ma lui, tra alti e bassi, ha continuato a premere sull'acceleratore.
Joseph Levitch (questo il suo vero nome) è nato a Newark, nel New Jersey, il 16 marzo del 1926. Sei figli e quattro by-pass, una schiera di nipoti e pronipoti, una quarantina di film come attore, una decina da regista, tanta tv, un libro pubblicato anche in Italia con il titolo 'Scusi, dov'è il set?', Jerry Lewis aveva scoperto la sua vena comica a cinque anni, vedendo che quando si muoveva e diceva battute la gente rideva.
In coppia con Dean Martin dal 1946, Jerry il brutto era quello che interrompeva continuamente Dean il bello, mentre cantava ispirato. Da lui si beccava una serie di insulti e dal pubblico fragorosi applausi. Insieme, dai teatri e dalla tv, arrivarono sugli schermi: ricalcavano commedie di successo con la variante che al posto di Ginger Rogers o Carlo Lombard c'era Jerry Lewis. I titoli di questo periodo vanno da 'La mia amica Irma' a 'Mezzogiorno di fifa'.
Il Picchiatello, come lo chiamavano in Italia, urla, schiamazza con voce infantile, storce gli occhi, muove il corpo dinoccolato come un ossesso: la sua comicità è immediata e istintiva, ma i francesi, nell'indifferenza della critica americana, lo prendono sul serio. Riviste sofisticate come i 'Cahiers du cinema' e 'Positif' sentenziano che i suoi film rivelano qualcosa di profondo sulla società americana che gli stessi americani non riescono a capire. ''E' stato più innovativo di Chaplin e di Keaton'' decreta Jen-Luc Godard.
Ma lui dice di collocarsi molto più in basso del regista di 'Luci della città', per lui Charlie Chaplin è ''una parola magica'', il più grande comico di tutti i tempi insieme a Stan Laurel. E tra i migliori comici degli ultimi anni mette anche Roberto Benigni, Jim Carrey e Robin Williams.
Nel '57 Jerry rompe il sodalizio con Dean Martin e comincia a prendere le cose più sul serio, si dirige e si produce da solo. Arrivano titoli come 'Il mattatore di Hollywood', 'Tre sul divano', 'Bentornato picchiatello'. Di Martin conserva però un ottimo ricordo: ''era bello, forte, un uomo meraviglioso e pieno di sentimento. La nostra è stata una vera storia d'amore, di grande amore''.
La salute continua a fargli brutti scherzi: i medici lo tirano fuori per i capelli da una profonda crisi di nervi e da una seria dipendenza da steroidi, arriva a pesare 120 chili, si rinchiude in clinica e dimagrisce, raccoglie soldi per la lotta alla distrofia muscolare, viene colpito da una meningite virale, il dolore lo porta sull' orlo del suicidio ma trova un rimedio e si dedica a promuovere la campagna internazionale 'Dolore' No grazie'.
Nell'83 Martin Scorsese ha un'idea geniale: riportarlo sugli schermi facendogli interpretare se stesso ma dipingendolo come una persona estremamente sgradevole, burbera e antipatica ('Re per una notte'). Lui ci riesce benissimo e confessa: ''questo film è molto vicino alla realtà''.
Nel '99 la mostra del cinema di Venezia gli assegna il leone d'oro alla carriera: ''dentro di me - dice in quell'occasione - c'è un bambino di nove anni, faccio ridere e non me ne vergogno. Poi ridivento adulto e passo a ritirare i soldi''.
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Il 16 marzo nella storia
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