Prima che il cinema lo assorbisse in pieno, facendolo diventare uno degli attori più popolari, a rivelarlo è stato il teatro. Quel ''fusse che fusse la vorta bbona'', lo sketch-tormentone del barista di Ceccano di ''Canzonissima'', rischio' di rimanergli appiccicato addosso per tutta la vita. Ma alle origini burine lui, figlio e nipote di contadini ciociari, rimase sempre legato, convinto com'era che ''un attore può esprimersi al meglio solo con la propria lingua e la propria cultura''. Ha sempre provato a rinnovarsi non solo sul grande schermo, cui ha legato le sue migliori interpretazioni, ma anche nel teatro, nella letteratura, fino alle apparizioni televisive, come testimonial di una nota marca di caffè, e protagonista di sceneggiati di successo. Storia, in breve, di Nino Manfredi.
Nato a Castro dei Volsci (Frosinone) nel 1921, Nino (Saturnino) Manfredi si laurea a Roma in giurisprudenza e si iscrive all'Accademia d'Arte Drammatica dopo aver vinto, nel 1944, una borsa di studio. Comincia a recitare con compagni come Giancarlo Sbragia e Tino Buazzelli, diretto da Luigi Squarzina, nonostante le perplessità di Orazio Costa, maestro dei corsi, che gli rimprovera una voce molto nasale. Ma è un problema che supera facilmente perché dimostra di saper fare tutti gli Arlecchini e Brighella possibili, grazie a una istintiva vena comica.
L' occasione del debutto si presenta nel '47, a Praga, dove prende parte al Festival della Gioventù che lo vede fra gli interpreti de ''L' uomo e il fucile'' di Sergio Sollima. Subito dopo entra nella compagnia Gassman-Maltagliati come giovane ''tuttofare'' recitando in ''Tre rosso dispari'' di Amiel. Resta attratto dall'appena nato ''Piccolo'' di Milano, ma non lega con Giorgio Strehler che vuole usarlo come una delle tante parti di un mosaico. Preferisce fare il ''buffone'' ne ''La dodicesima notte'' di Shakespeare, sostituendo Giancarlo Tedeschi, recitare con Eduardo ne '' I morti non fanno paura'', e addirittura si lascia incantare dal teatro di rivista, in cui appare al fianco delle sorelle Nava. Occasioni in cui comincia a non rispettare il testo, a dire parole sue, a scoprire un proprio umorismo. Diventa presto uno degli attori più richiesti per varietà radiofonici, inventivo, sempre prontissimo alle battute, dove porta al successo il personaggio di Sor Tacito. Il che gli spiana ulteriormente la strada per il teatro ''leggero'', prima apparendo nella rivista ''Festival'', diretto da Luchino Visconti, poi ne ''Gli italiani son fatti così '', insieme a Billi e Riva, ( irresistibile nello sketch ''La psicanalisi'' di Marchesi), in ''Un trapezio per Lisistrata'' con Delia Scala, e, con grande successo personale, in ''Rugantino'' di Garinei e Giovannini, recitato anche negli Stati Uniti, a Broadway e a Buenos Aires. Una vocazione per la Commedia dell'Arte che Manfredi vede avere cittadinanza soltanto nell'avanspettacolo e nella commedia- musicale. E' un modo per avvicinarsi al pubblico più direttamente per farlo ridere. E lui è un interprete sintonizzato con la platea, chimico della battuta, con l'occhio che guizza e il baffo che fa simpatia.
La rinuncia al teatro per il cinema, che lo tiene impegnato a tempo pieno anche come regista, dura 25 anni. Tra i 'colonnelli' della risata, è forse il più 'rustico' e il meno popolare all'estero, fatta eccezione per ''In nome del Papa Re'' di Luigi Magni (1977) ('Nastro d'argento' e premio per l'interpretazione al festival di Parigi), per ''Pane e cioccolata'' di Franco Brusati (Oscar nel 1975) e prima ancora per ''Per grazia ricevuta'', da lui stesso diretto nel 1970. Torna al teatro in un momento in cui le sue pile di ''moschettiere della commedia cinematografica all'italiana'' si sono un poco spente, con ''Viva gli sposi'' (1984) nata da un adattamento televisivo. Un ritratto (non poco dolciastro) di una famiglia sul punto di sfasciarsi, ma che nonostante tutto rimane unita. Una miscela di buoni sentimenti accettabile per la sua rassicurante presenza, bravo ragazzo eternamente birichino. Nel 1988 è la volta di un copione scritto da lui stesso, ''Gente di facili costumi'', a cui tocca un grande successo di pubblico. Nella parte di un intellettuale stupido conferma tutte le caratteristiche del Manfredi commediante. Un felicissimo ritorno, in cui ha al suo fianco Pamela Villoresi nella parte di una prostituta.
Nello stile della ''situation comedy'', ecco la sua terza commedia ''Parole d' amore... parole'' (1992), zeppa di amori, proverbi e battute per un incontro generazionale. Di nuovo i consensi di un pubblico affascinato dai suoi ingredienti comuni. Fino all'ultimo una sana semplicità di espressione, con la tendenza a esagerare, ad appoggiarsi sul suo inossidabile personaggio. A conferma della sua poliedricità, firma una raccolta di detti romaneschi, un libro di alimentazione e, soprattutto, l'autobiografia professionale e umana, ''Nudo d'attore'', uscita nel '93.
Dagli anni novanta alla morte interpreta numerose fiction televisive dirette perlopiù dal genero Alberto Simone e dal figlio Luca; sono sempre personaggi carichi di notevole umanità, come il commissario Franco Amidei di 'Un commissario a Roma' (1993) e, soprattutto, come il brigadiere Nino Fogliani nella serie televisiva di grandissimo successo 'Linda e il brigadiere' (1997), accanto a Claudia Koll. Al cinema, l'ultimo toccante ruolo è quello di Galapago nel film, uscito postumo, 'La fine di un mistero' (2003), diretto da Miguel Hermoso. Interpreta uno sconosciuto privo di memoria, salvato dalla morte da un pastorello durante la Guerra Civile Spagnola del 1936 e ricoverato per quarant'anni in un manicomio; alla fine, grazie ad alcune ricerche, si scopre la sua identità: quella del poeta Federico Garcia Lorca, che la pellicola immagina miracolosamente sopravvissuto alla fucilazione a opera dei Franchisti. Si tratta di un'interpretazione lodatissima dalla critica: asciutta, scarna ed essenziale, quasi senza parole, fatta soltanto di sguardi fissi.
Subito dopo la fine delle riprese, viene colto da un collasso cardiaco. Ricoverato in ospedale, non si riprenderà mai completamente, trascorrendo nove mesi in una continua alternanza di miglioramenti e peggioramenti, fino a quando viene colpito, nella sua casa romana, da un ictus. Muore a 83 anni, il 4 giugno 2004.
Sposato dal 1955 con l'ex indossatrice Erminia Ferrari, ha avuto da lei tre figli, la produttrice Roberta, il regista Luca e Giovanna. La quarta figlia, Tonina, è nata da una relazione con la giovane bulgara Svetlana Bogdanova che l'attore aveva conosciuto a Sofia durante le riprese di un film.
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