Terremoto in Abruzzo


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Barberi: 'Paese vulnerabilissimo'

Intervista al presidente vicario della Commissione Grandi Rischi

di Emanuela Gialli

Nei quattro mesi di scosse continue, la Commissione Grandi Rischi quanto e come è intervenuta?
La Commissione Grandi rischi si è riunita per la prima volta all’Aquila il 31 marzo, il giorno dopo la scossa più forte di quella sequenza, di magnitudo 4. A oltre tre mesi dall’inizio dello sciame sismico, il 13 dicembre. Le scosse non hanno avuto una continuità totale. Ci sono stati momenti di relativa quiete e poi qualche ripresa. Insomma, una sequenza abbastanza caratteristica.

E voi quando siete arrivati all’Aquila che cosa avete fatto? Avete incontrato gli amministratori locali per cercare di pianificare l’emergenza?
Noi siamo andati per valutare nei limiti del possibile questa sequenza in atto e poi per valutare il livello di preparazione. Ne abbiamo discusso rapidamente con Regione e Comune, anche se questo compete ovviamente al Dipartimento della Protezione civile, essendo la Commissione un organismo di consulenza scientifica. Per quanto riguarda lo sviluppo della crisi, la comunità scientifica, che la Commissione Grandi Rischi rappresenta, ha sempre molto limitate capacità predittive o previsionali. D’altronde, sequenze come quelle che ci sono state nei mesi scorsi, sono relativamente frequenti. Nella zona dell’Aquila dal 1961 fino ad oggi sono state almeno cinque o sei le sequenze con le stesse caratteristiche, ma nessuna di queste è stata seguita da un terremoto forte, distruttivo, come quello del 6 aprile. In tutte le aree sismiche, anche non italiane, queste sequenze sono molto raramente premonitrici di un sisma di grandi proporzioni. Seppure non si possa escludere che ciò avvenga, tuttavia l’evoluzione più probabile è che non succeda nulla. Questi sono i numeri, i dati.

Quindi lei statisticamente, su base scientifica, ci dice che quasi mai succede che c’è la scossa forte, in questi casi?
Insomma, raramente, molto raramente.

Però il “raramente” a volte può essere preso in considerazione. Quindi dopo il vostro sopralluogo il 31 marzo e la consulenza scientifica che vi ha richiesto, mi sembra di aver capito, mi corregga se sbaglio, la Protezione civile, voi non avete dato alcun allarme, perché per voi la situazione era di relativa normalità.
Noi non possiamo dare nessun allarme per terremoto imminente. Non ce l’ha l’Italia, non l’hanno gli Stati Uniti, non ce l’ha il Giappone la capacità di segnalare un allarme, perché si teme come imminente l’accadimento di una forte scossa. Da decenni andiamo scrivendo e dicendo in documenti ufficiali che l’unico modo per difendersi dai terremoti è intervenire sulle costruzioni. Costruire nuovi edifici resistenti al terremoto e intervenire su quelli costruiti, che in Italia purtroppo sono la maggioranza, prima dell’adozione della legge sismica e consolidarli nei limiti del possibile. Al termine della riunione del 31 marzo chiedemmo, anche se ripeto questo non è proprio il compito della Commissione Grandi Rischi, ai rappresentanti della Regione Abruzzo, al Comune dell’Aquila quale fosse il livello di preparazione a fronteggiare l’eventuale emergenza e fummo rassicurati che erano pronti. Ricordiamo che dopo il crollo della scuola di San Giuliano di Puglia c’è stata un’ordinanza della Protezione civile, poi diventata legge, che dispose verifiche urgenti sugli edifici pubblici strategici, prefetture, ospedali, scuole, caserme, per valutarne la vulnerabilità sismica e assegnò fondi, pochi, per fare interventi di consolidamento sugli edifici più a rischio. Devo dire che la fine della Prefettura dell’Aquila è sorprendente. Perché non vi fossero stati avviati interventi di consolidamento, è una domanda che va girata alla Regione, alla Protezione civile, io non lo so.

Questa è una domanda che riguarda il prima. Ma da chi doveva partire il controllo, negli oltre 4 mesi di sequenza sismica? Gli enti territoriali autonomamente avrebbero dovuto fare le verifiche sugli edifici o doveva essere la Protezione civile a intervenire?
A parte le cose che risalgono a decenni nel passato, il momento al quale conviene risalire è quello delle ordinanze del 2003-2004, nelle quali era stabilito che gli Enti territoriali, la Regione, avrebbero dovuto fare un piano per consolidare gli edifici pubblici strategici a rischio di loro proprietà, mentre i ministeri dovevano occuparsi degli stabili di propria competenza. Io ho chiesto che la Protezione civile, superata la fase acuta dell’emergenza, vada a vedere che ne è stato qui di queste ordinanze... Comunque indipendentemente dalla situazione tragica dell’Aquila, in Italia abbiamo l’80% di edifici pubblici e privati nelle zone sismiche, che sono tra l’altro perfettamente individuate e classificate, sismicamente insicuri, perché vecchi e perché costruiti senza alcun criterio antisismico. Perché l’obbligo di costruire in cemento armato risale agli anni tra l’80 e l’84. Se si considerasse la pericolosità sismica, si dovrebbe evacuare o comunque dichiarare inagibile l’80% delle scuole, un numero rilevantissimo di ospedali e di strutture pubbliche. E questo paralizzerebbe l’Italia. La prevenzione sismica è una corsa contro il tempo, che però in Italia purtroppo abbiamo perso, stiamo perdendo, perché tutto questo lo sappiamo da almeno 20 anni, ma è stato fatto troppo poco. Ogni volta che ci sarà un forte terremoto, noi conteremo i morti, le vittime, le distruzioni perché il Paese è vulnerabilissimo dal punto di vista sismico. E’ una vergogna che un Paese moderno come l’Italia abbia questo livello di rischio.

Si possono prevedere i movimenti delle faglie?
Solo dopo che si è registrata la scossa più forte, in base alla “migrazione di sismicità”.

Qual è l’attesa per i prossimi giorni?
Ancora scosse abbastanza forti, alcune di magnitudo 5, o appena superiore, un numero più alto di grado 4 della scala Richter e un numero altissimo di scosse di piccola energia. Tutto nella zona già attivata. C’è la possibilità di una propagazione. Rispetto alla scossa più violenta del 6 aprile, si sono attivati segmenti più vicini, verso nord e verso sud. Un’ulteriore estensione non è prevedibile. Quanto durerà la crisi è difficile da dire. Di solito dura a lungo. Quella in Umbria e nelle Marche, del 1997, iniziò a settembre andò avanti fino ad aprile dell’anno successivo.