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22 aprile

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Il più famoso giornalista italiano; l'ultimo vero inviato d'assalto; un esempio di come si può unire giornalismo e letteratura, giornalismo e storia; un bastian contrario a oltranza. Indro Montanelli, toscano di nascita ma meneghino per scelta, nasce il 22 aprile 1909 a Fucecchio, un paesino del Valdarno, a metà strada tra Pisa e Firenze.

Una storia di grane fin dall'inizio, la sua, visto che gli abitanti di Fucecchio erano divisi in 'insuesi' e in 'ingiuesi' (cioè di sopra e di sotto). La madre Maddalena era insuese, il padre Sestilio, ingiuese. Quando nacque, il problema: il bambino è meglio farlo nascere al piano o in collina? Vinse la famiglia materna. Ma per vendicarsi, Sestilio cercò ostinatamente un nome che non fosse né della famiglia né del calendario. Trovò quello di Indro, anche se gli amici più intimi lo hanno sempre chiamato affettuosamente 'Cilindro'.

''La mia vita professionale è la mia vita, tout court'', disse il giorno del suo ottantesimo compleanno. Ed è stato proprio così. Dopo aver conseguito due lauree, in giurisprudenza e scienze politiche (anche se ripeteva che dell'università' non gli importava granché), emigra in Francia, dove frequenta la Sorbona e viene assunto a 'Paris soir'.

Reporter per un paio d'anni, si fa le ossa frequentando le gendarmerie e gli ospedali. Nel 1935, poco più che ventenne, decide di arruolarsi nel ventesimo battaglione eritreo. Appena giunto in Eritrea, compra dal padre una ragazza di 14 anni, che lo segue per tutta la campagna. Definita dallo stesso Montanelli 'la mia famosa moglie africana', la ragazza fu poi scelta dal generale Porzio Biroli, che la volle nel piccolo harem che si era creato. Indro, nonostante la giovane età, è alla guida di un gruppo di mercenari, una banda indigena di quelle usate per l'avanscoperta nell'avventura coloniale fascista. Racconta questa esperienza nel diario 'Ventesimo battaglione eritreo', che viene stampato in Italia e recensito sul 'Corriere della Sera'' da Ugo Ojetti.

''Per noi - dichiarò Montanelli 50 anni dopo in un'intervista ad Arrigo Petacco - l'Abissinia era come il West per gli americani: la nuova frontiera, un paese nuovo dove costruirci un'esistenza diversa'. Andammo laggiù anche per sfuggire alle liturgie del regime. Ma anche lì arrivarono i gerarchi tronfi e buffoni. Per giunta, Mussolini finì per perdere la testa. E fu il trionfo delle bischerate di Starace. Ci sentimmo traditi. E, per me, fu il divorzio''.

Grazie al suo diario di guerra, ottiene dal direttore del 'Corriere' Aldo Borelli la promessa di un contratto. Intanto va in Spagna per il 'Messaggero', dove scrive contro il regime. Il fascismo romano ne ordina il rimpatrio e lo espelle dal partito e dall'albo professionale. Viene mandato da Bottai a dirigere l'Istituto italiano di cultura in Estonia per un anno. Tornato in Italia, riceve la tessera di giornalista, ma rifiuta di richiedere quella del Partito fascista.

Nel 1938, Borelli, mantendendo la sua promessa, lo fa entrare al 'Corriere', dove resterà per 40 anni. Il servizio di esordio lo fa in Albania. Poi in Germania,dove assiste all'avanzata del Terzo Reich verso Danzica e parla con Hitler in persona. Poi va in Finlandia e Norvegia. A Roma, finisce in prigione per antifascismo e viene condannato a morte, ma scampa miracolosamente alla fucilazione. E riesce a trarre vantaggio anche dalla prigionia, che gli suggerisce uno dei suoi libri più belli, ''Il generale Della Rovere'', che tradotto in film riceve il Leone d'oro a Venezia.

Finita la guerra, viene reintegrato al 'Corriere' come inviato, ma confinato alla cronaca cinematografica. Ma dopo poco tempo, riprende il mestiere di cacciatore di notizie (e di guai) in giro per il mondo. Tra i primi a giungere nella Budapest insorta, Montanelli scrisse che non si trattava di ribelli borghesi, ma di ''comunisti antistalinisti''. Ma quello spirito battagliero e cocciuto, Indro lo esprimerà compiutamente fondando, nel 1974 (anno in cui sposa Colette Rosselli, nota come 'Donna Letizia', morta l'8 marzo 1996), il 'Giornale nuovo', poi divenuto il 'Giornale', un pulpito da cui profetizza che dalla contestazione sarebbe nato il terrorismo. E, nel 1977, i terroristi delle brigate rosse gli sparano gambizzandolo.

''Il Giornale'', fondato con alcuni colleghi (tra i quali Guido Piovene, Gianni Granzotto, Enzo Bettiza, Gianfranco Piazzesi e Mario Cervi),è la sua 'creatura', una ''società di redattori, venuta al mondo senza babbo né mamma''. E lancia i suoi strali dalla sua rubrica,dall'azzeccatissimo titolo ''Controcorrente''.

Nel 1978 la Fininvest acquista circa il 30% delle quote del 'Giornale'. Tra l'80 e l'81 il gruppo acquisisce la maggioranza della See, Società Europe Edizioni, che pubblica appunto il 'Giornale'. Nell'87, la quota azionaria di Berlusconi passa dal 37,5 al 70%. Berlusconi gli scrive: ''Te ne andrai quando vorrai e io spero che tu non te ne vada mai''.

Non manca una parentesi giudiziaria (maggio 1989), con Montanelli protagonista del processo per diffamazione intentato nei suoi confronti dall'allora presidente del consiglio Ciriaco De Mita, accusato di usare ''metodi da padrino''. Il tribunale si trasforma in una ribalta, di cui Montanelli è il mattatore.

Nel 1991 la Fininvest detiene l'86,62% della proprietà, quota che scende al 36% nel '92, quando il controllo passa alla Editoria Arcus di Paolo Berlusconi. La situazione precipita con la ''scesa in campo'' del Cavaliere. Il quale però lo difende dagli attacchi di Emilio Fede, che suggerisce il suo allontanamento per aver sposato sul 'Giornale' la causa del leader referendario Mario Segni. ''Montanelli ha la mia piena fiducia'', dice Berlusconi l'8 gennaio 1994. ''Ci sono guerre che vanno condotte col fioretto - dirà Montanelli - ma è difficile affrontare col fioretto chi viene avanti col mitra''.

L'11 gennaio 1994, dopo 20 anni, lascia il suo 'Giornale'. Instancabile, si butta in una nuova avventura, siglando l'accordo per la direzione di un nuovo quotidiano, 'La Voce'. L'obiettivo è ambizioso: ''fare un quotidiano di una destra veramente liberale, ancorata ai suoi storici valori: lo spirito di servizio, il senso dello Stato e il rigoroso codice di comportamento''. 'La Voce' chiude il 12 aprile 1995. Di queste due esperienze dirà: ''Sono state due battaglie e due sconfitte di cui vado fiero, ma che mi hanno lasciato addosso anche nel morale e nel fisico, troppe cicatrici''. Gli ultimi anni lo vedono sempre più solitario. Perde anche la compagnia del suo lupo 'Gomulka' (dal nome dell'ex capo sovietico della Polonia).

Ma il vincitore del Premio dell'Accademia degli Inquieti, ha continuato a far sentire la sua 'voce': dagli schermi di Tmc, che ha ospitato i suoi editoriali, e dalle pagine del ''Corriere'', che gli aveva riservato una ''Stanza'' dalla quale dialogare con i lettori.



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