Nato a Palermo il 20 marzo del 1939, a 25 anni, con la laurea in Giurisprudenza, aveva vinto il concorso in Magistratura. Il primo incarico lo ebbe nella Pretura di Lentini, grosso paese agrumario in provincia di Siracusa. Poi a Trapani, prima come sostituto procuratore della Repubblica, quindi giudice di sorveglianza (finì per la prima volta sui giornali perché un giorno, nel carcere dell'isola di Favignana un detenuto gli tenne per ore un coltello contro la gola; se la cavò con grande abilità) e giudice addetto alla sezione fallimentare. Quest’ultima esperienza gli fu utile quando si cominciò a indagare sulle finanze della mafia.
Trasferito a Palermo quale giudice della sezione fallimentare, confermò immediatamente tenacia ed enorme capacità professionale: una memoria di ferro, alle 8 del mattino già in ufficio e via per interminabili giornate e nottate di lavoro con poche distrazioni anche di carattere familiare. Dal 1979 non c’è stato importante processo alla mafia che non l'abbia visto protagonista assoluto prima nel pool antimafia dell'Ufficio istruzione del Tribunale accanto a Rocco Chinnici, assassinato pure lui con la scorta in un agguato il 29 luglio 1983, poi in Procura della Repubblica da Procuratore aggiunto. Ottenne quindi l'incarico di direttore generale al Ministero. Cominciò così una vita blindata, sempre scortato.
E’ stato il giudice arrivato fin dentro quelli che il ministro delle Finanze Rino Formica definì i ''sancta sanctorum'' di Cosa Nostra, cioè le interconnessioni con finanziarie nei paradisi fiscali di tutto il mondo, i conti dei boss nelle banche, i mille rivoli delle attività illecite. La prima indagine sensazionale portata a termine risale al 1980 con 55 ordini di cattura firmati contro i presunti appartenenti al clan Spatola-Inzerillo-Gambino. Il procuratore della Repubblica di Palermo che firmò l’ordine di cattura, Gaetano Costa, fu assassinato il 6 agosto di quell’anno. Provò a risalire ai misteri di Michele Sindona. Cercò a lungo i colletti bianchi soci dei boss e cominciò a indagare su Vito Ciancimino, l'ex sindaco che stava per essere estromesso dalla DC dopo esser stato chiamato in causa definitivamente come ''organico alla mafia''.
Si muoveva a tutto campo e nel 1984, a Rio de Janeiro convinse Tommaso Buscetta a collaborare con la giustizia. Buscetta permise a Falcone e agli altri magistrati del pool antimafia di imbastire il primo maxiprocesso alla mafia siciliana, cominciato nel 1986. Seguirono nel 1988 il secondo e il terzo maxiprocesso. Arrivato a Roma come direttore generale degli Affari Penali, si battè per creare un'arma capace di contrastare la mafia. Nacque così la Direzione Nazionale Antimafia, capace di coordinare l'attività di 26 procure distrettuali nella lotta alla criminalità. Dopo la costituzione della DNA, però, al suo nome per la direzione il Consiglio Superiore della Magistratura preferì quello di Agostino Cordova, procuratore della Repubblica del Tribunale di Palmi. Il Csm spiegò così le ragioni della sua scelta: mancanza di requisiti per Falcone e preparazione e volontà ferrea per Cordova.
Il 23 maggio 1992, un’autobomba bomba piazzata sull’autostrada Palermo-Trapani, all’altezza dello svincolo per Capaci, lo uccide insieme alla moglie, Francesca Morvillo, e a tre uomini della scorta: Antonio Montinari, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. A partire dal 1983, la mafia aveva progettato più volte di ucciderlo, ma gli attentati non erano stati fatti per difficoltà organizzative oppure avevano mancato il bersaglio:l' ultimo era stato compiuto nel 1989. Oggi, 17 anni fa, il ‘bersaglio’ viene ‘centrato’ da Giovanni Brusca, il boss che preme il pulsante del detonatore per conto della Cupola palermitana.
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Il 23 maggio nella storia
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