Il settore privato italiano dell’industria e dei servizi (esclusi quelli finanziari, sociali e alle persone) è il terzo in Europa, dopo Germania e Regno Unito, per numero di addetti; il 47 per cento è impiegato in microimprese (1-9 addetti). Si conferma dunque l’estrema frammentazione del tessuto produttivo italiano, con molte imprese di dimensione contenuta.
• Ogni anno poco meno del 15 per cento dello stock di imprese viene coinvolto nel turnover demografico, attraverso l’entrata di nuove aziende e la cessazione di altre. L’indice lordo di turnover italiano è tra i più bassi d’Europa, a testimonianza di una relativa robustezza del sistema ma anche di un peggior funzionamento dei processi di selezione d’impresa. Tuttavia, la propensione all’imprenditorialità, misurata dalla nascita di nuove imprese per mille abitanti in età 18-64 anni, è superiore alla media europea.
• Rispetto ai maggiori partner europei l’Italia è relativamente più specializzata nella manifattura (soprattutto beni di consumo durevoli e input intermedi), nelle costruzioni e nei trasporti e comunicazioni.
• La performance produttiva delle imprese italiane (misurata dal valore aggiunto per addetto) è inferiore a quella media delle maggiori economie europee (circa 42 mila euro per addetto rispetto a 50 mila), superando le imprese spagnole solamente nei servizi e nelle costruzioni. Rispetto a Germania e Regno Unito i divari più ampi si registrano negli altri servizi e nell’industria. Tuttavia, le imprese italiane beneficiano di un costo del lavoro per dipendente sensibilmente inferiore a quello delle maggiori economie in tutti i settori considerati, con l’eccezione della Spagna e di qualche comparto dei servizi. Per questo, in termini di competitività (misurata dal rapporto tra produttività e costo del lavoro per dipendente) l’Italia recupera buona parte dello svantaggio rispetto ai partner europei, soprattutto nell’industria.
• Il confronto europeo svolto per classe dimensionale, limitatamente alla manifattura, mostra che i risultati complessivi delle aziende italiane sono influenzati non solo dalla maggior presenza di imprese di dimensioni micro, ma anche dal fatto che esse registrano risultati relativamente peggiori. Più favorevole la situazione delle imprese delle classi superiori e in particolare di quelle di medie dimensioni (50-249 addetti).
• In Italia, la piccolissima dimensione produttiva si conferma prevalente: sono circa 4,3 milioni le microimprese (1-9 addetti), il 95 per cento del totale. Sotto il profilo economico sono però le imprese con più di dieci addetti a realizzare i due terzi del valore aggiunto totale.
• Sempre nel nostro paese si contano circa 17 milioni di addetti. La dimensione media di impresa si avvicina alle quattro unità di lavoro medie annue, tra le più basse d’Europa. Poco meno della metà della forza lavoro è occupata in imprese della fascia dimensionale tra 1 e 9 addetti, attive prevalentemente nel commercio.
• La restante metà degli occupati si suddivide nelle altre classi dimensionali: il 21 per cento lavora in imprese con 10-49 addetti, il 13 per cento in quelle di medie dimensioni e il 18 per cento nelle grandi.
• La performance economica delle società di capitale è superiore a quella media delle imprese italiane. La loro produttività del lavoro raggiunge i 56 mila euro per addetto e cresce all’aumentare della dimensione aziendale. A livello settoriale, quelle con produttività del lavoro più bassa appartengono al comparto ricettivo e al segmento dei grandi servizi alle imprese.
• La composizione dello stato patrimoniale delle società di capitale è caratterizzata da una consistente quota di debiti e una altrettanto considerevole frazione di attivo circolante (crediti, scorte, titoli a breve e liquidità), pari a più della metà degli impieghi (circa il 55 per cento). La quota di capitale proprio è del 31 per cento circa. Il rapporto di indebitamento in alcuni settori supera il 50 per cento. Risultano meno indebitate le grandi società dell’industria e dei servizi alle imprese, per le quali si tocca la quota più bassa del 21,8 per cento.
• Sotto il profilo settoriale, il comparto degli alberghi e dei ristoranti si conferma più esposto ai debiti, insieme a quello delle costruzioni. Le quote più elevate di società di capitale senza debiti si ritrovano invece nei servizi alle imprese e alle famiglie.
• La dinamica dell’occupazione alle dipendenze mostra segnali di rallentamento già dal secondo semestre 2007 e alla fine del 2008 si trasforma in contrazione per le imprese manifatturiere. Contestualmente aumenta il ricorso alla Cassa integrazione guadagni (+57 per cento l’aumento delle ore autorizzate nell’ultimo trimestre 2008 rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente) e si riduce l’utilizzo di lavoro interinale (-13,4 per cento nell’ultimo trimestre 2008 rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente).
• Il calo di domanda internazionale ha colpito in modo intenso il sistema produttivo, con cadute rilevanti delle esportazioni soprattutto nella parte finale del 2008 e all’inizio del 2009. Queste dinamiche hanno interrotto una fase di espansione del commercio internazionale che aveva visto il miglioramento delle nostre condizioni di competitività e portato nel 2007 a un aumento della quota delle esportazioni mondiali per la prima volta dopo molti anni.
• Sono 22.395 le imprese attive all’esportazione dall’inizio del 2007 alla fine di febbraio 2009. Esse coprono circa il 90 per cento del valore totale delle vendite all’estero, facendo registrare un +9,8 per cento nel primo bimestre 2008 rispetto al primo bimestre 2007 e un -29,4 per cento nei primi due mesi del 2009. Complessivamente, tra l’inizio del 2007 e l’inizio del 2009 la variazione è negativa e pari al 22,5 per cento.
• Tra i fattori associati negativamente alla probabilità di aumento delle esportazioni delle imprese nel 2009 vi è la dimensione aziendale: un incremento percentuale unitario del numero di addetti riduce del 6 per cento la probabilità di aumentare le esportazioni. Le imprese che tra il 2008 e il 2009 hanno modificato rapidamente l’orientamento geografico e le merceologie delle loro esportazioni sono riuscite non solo a contenere l’impatto della crisi, ma anche ad aumentare le vendite all’estero. L’appartenenza ai comparti dell’alimentare, degli apparecchi medicali e degli altri mezzi di trasporto influisce positivamente sull’amento delle esportazioni, negativamente quella ai settori degli autoveicoli e del legno (escluso i mobili).
<<< Torna allo Speciale