CA$H

di Sandro Calice

CA$H
di Eric Besnard, Francia 2008 (Moviemax)
Jean Dujardin, Jean Reno, Valeria Golino, Alice Taglioni, François Berléand, Caroline Proust, Mehdi Nebbou, Cyril Couton, Eriq Ebouaney, Ciarán Hinds, Samir Guesmi, Jocelyn Quivrin, Hubert Saint Macary, Christian Hecq, Joe Sheridan.

Nella storia del cinema ci sono molti splendidi film su truffe e truffatori. Besnard è un regista e sceneggiatore francese: “Le nouveau protocole” diretto da Thomas Vincent e “Babylon AD” di Mathieu Kassovitz sono le sue ultime sceneggiature, mentre come regista l'ultimo lavoro è “Le sourire du clown” del 1997. Besnard pesca a piene mani dalla tradizione, forse troppo. E “Ca$h” rischia di non avere una sua anima.

Ca$h (Dujardin) è un affascinante e brillante truffatore. Si innamora di una bellissima donna (Taglioni) e le chiede di sposarlo. Ma deve superare la prova del padre di lei (Reno), facoltoso e misterioso uomo d'affari. Il tutto avviene sotto l'occhio delle telecamere nascoste di un'ambiziosa ispettrice dell'Europol (Golino), alla ricerca dell'arresto eccellente che le faccia fare carriera. Questo è quello che vediamo. Sarà vero? Chi sta ingannando chi? E chi sono i polli, anzi i piccioni da spennare? Mentre tutt'attorno rutilano soldi, lusso, belle macchine (c'è anche la Jaguar E-Type di Diabolik, tanto per non farsi mancare nulla), alberghi da sogno, inseguimenti e scazzottate, quello che crediamo di aver capito sarà costantemente ribaltato, fino all'atteso colpo di scena finale.

Diamo atto a Besnard di aver realizzato uno degli intenti dichiarati del film: quello di raccontare una storia leggera, colorata, divertente, in cui l'ironia è l'arma preferita alle pistole e la violenza è sempre solo minacciata. Ma la sensazione è che finisca qui. Oltre agli altri film di genere, c'è più di un richiamo a “Ocean's Eleven” di Soderbergh, anche nel montaggio e nell'uso dello split screen. C'è più della sensazione che invece di Dujardin al regista sarebbe piaciuto (o pensa di avere) Newman o Belmondo. E c'è un tentativo forzato di sorprendere lo spettatore, di disorientarlo ad ogni costo, di superare i modelli. Ne viene fuori un racconto macchinoso, tanto che al finale – che dovrebbe essere il respiro dopo aver trattenuto a lungo il fiato – si arriva un po' affaticati.