Scrittrice, poetessa, biografa dell'antichità, traduttrice e saggista, conosciuta nel mondo soprattutto per le sue ''Memorie di Adriano'' e ''L'opera in nero'', dove la verità storica e l'immaginazione si fondono in un tutt'uno.
Marguerite Yourcenar nasce nel 1903 a Bruxelles. Il suo vero nome era Marguerite de Crayencour. La madre belga, il padre francese: un uomo colto e sensibile, tanto da educare personalmente la figlia, che non frequenta scuole, e finanziare la pubblicazione della sua prima opera, a 16 anni, ''Le Jardin des chimeres'', sul mito di Icaro. Questo padre, splendido nel ricordo della figlia, muore nel 1929. E in quel tempo la giovane Marguerite conosce gli anni più intensi della sua vita di donna. Ama, scrive, vagabondaattraverso l'Europa, che senza saperlo si prepara al cataclisma della guerra. Ma proprio lei è un po' meno inconsapevole di quello che accadrà di tanti altri. Il tratto distintivo dei suoi personaggi ''l'essere lucidi abbastanza per conoscere se stessi e tentare di giudicarsi''.
Questo esemplare progetto esistenziale si ritrova dalle prime opere (''Alexis ou le traité du van combat'', 1929), che difende gli amori omosessuali, sulla scia degli scritti di Gide; fino al suo capolavoro, le 'Memorie di Adriano' (1951): un'opera scritta per evocare il più saggio e sensibile degli imperatori romani, tanto lucido da voler ''entrare nella morte, con gli occhi bene aperti''. La scrittrice lo ritrae come un uomo pieno di ricordi, ma senza rimpianti; lo plasma con una straordinaria erudizione, un grande amore per i luoghi della storia (la splendida Villa Adriana, alle porte di Roma) e una impareggiabile fantasia creatrice. Lo stesso si può dire di Zenone, il medico alchimista e filosofo, protagonista della 'Opera in nero' (1968), un intellettuale del '500 alle prese con la problematica della conoscenza. In un altro romanzo 'L'ultimo sogno' (1934) aveva evocato l'attentato fallito contro Mussolini, a opera di una passionaria antifascista. Coltissima e dedita alla letteratura come alla missione della sua vita, ha vissuto nella continua tensione verso la perfezione formale dell'opera, raggiunta nell'eleganza raciniana di una prosa limpida ed essenziale: per questo ha più volte ripubblicato le sue opere, ogni volta corrette e riscritte.
Il suo lavoro ha spaziato dai saggi sulla letteratura antica, come il''Pindaro'', che arricchisce le sue traduzioni delle liriche greche; alla corposa prefazione del ''Gita-Giovinda. Gli amori di Krishna'', un classico della cultura indiana; fino alle traduzioni di Virginia Woolf e Henry James. In letteratura il suo progetto più ambizioso, ispiratole dai sogni adolescenziali, è stato quello di creare un genere nuovo di memorialistica nel ''Labirinto del mondo', dove il narratore ricostruisce in tre volumI la storia della sua famiglia.
Prima di morire, il 17 dicembre 1987, sull'isoletta del nord America, dove si era stabilita, aveva ricominciato a viaggiare, come in gioventù, rifacendo ''il giro della prigione'', insieme a un giovane americano di trenta anni, Jerry Wilson. Ma quando lui morì prematuramente di aids, lei non ebbe più la forza di continuare. Profeticamente, aveva scritto nella sua giovinezza queste poche righe, che sono il vero epitaffio della sua vita operosa. ''Solitudine. Io non credo a quel che credono. Non vivo come vivono. Non amo come amano. Ma morirò come loro muoiono''.
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L' 8 giugno nella storia
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