di Luca Garosi
«Sono nel mirino come Falcone»: questo il titolo di un’intervista che Paolo Borsellino aveva rilasciato al quotidiano ‘Il Mattino’ alla fine di giugno del 1992. Pochi giorni dopo, in via D'Amelio, il magistrato fu ucciso con un'autobomba insieme agli agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cusina, Claudio Traina e Vincenzo Limuli.
Alla domanda se fosse «cosciente di essere ormai l'obiettivo numero uno della mafia» e se avesse paura, Borsellino aveva così risposto in quell'intervista: «Con la paura ormai ci convivo. E' inutile nascondere le apprensioni quotidiane per la mia incolumità e la sopravvivenza fisica. Il problema è quello di far convivere la paura con il coraggio».
Nel lavoro come nella vita privata Paolo Borsellino, il «giudice buono», era sempre se stesso. Il parroco, gli amici più cari, i collaboratori più stretti, lo ricordano tutti nell'identico modo: «Un uomo semplice, schietto, dotato di una grande carica umana e spirituale».
Fino all' ultimo era rimasto il ragazzo della Kalsa, il quartiere dove era nato nel 1940 e dove aveva stretto un intenso rapporto di amicizia con Giovanni Falcone, suo compagno di giochi. Un rapporto che proseguirà negli anni successivi anche sul versante professionale. Una vita 'parallela' quella di Paolo e Giovanni, accomunati dallo stesso tragico destino a distanza di meno di due mesi. Due magistrati che lavorando con intelligenza e caparbietà avevano inferto colpi durissimi a Cosa Nostra, due servitori dello Stato dilaniati dal tritolo mafioso.
Borsellino comincia la sua carriera in magistratura nel 1967 come pretore prima a Mazara del Vallo, poi a Palermo. Nella seconda metà degli anni '70 il consigliere istruttore Rocco Chinnici, anche lui trucidato dalla mafia nel 1983 con una autobomba, lo chiama a far parte del pool antimafia dell'ufficio istruzione insieme a Falcone. I due ex compagni di giochi sono affiatati, si intendono a meraviglia, diventano ben presto la punta di diamante dell'ufficio. Dopo l'uccisione di Chinnici l'ufficio passa sotto la direzione di Antonino Caponnetto, con il quale i due 'gemelli' dell' ufficio istruzione instaurano un rapporto di stima e collaborazione.
Nel 1984 Tommaso Buscetta si pente: Falcone raccoglie le sue ''confessioni'' e comincia a lavorare con il collega al primo maxiprocesso a Cosa Nostra. La mafia reagisce uccidendo i commissari Montana e Cassarà: nell' estate del 1985 Falcone e Borsellino vengono trasferiti per motivi di sicurezza con le loro famiglie all' Asinara per ultimare la stesura della monumentale ordinanza (8 mila pagine) di rinvio a giudizio per 475 imputati.
Nel 1986 Borsellino diventa Procuratore di Marsala per meriti, scavalcando un magistrato che ha maggiore anzianità. Leonardo Sciascia, dalle colonne del Corriere del Sera, critica questa decisione con un articolo che apre la polemica sui ''professionisti dell' antimafia''. Lo scrittore e il magistrato, tempo dopo, si chiariranno e Sciascia rettificherà parzialmente quel giudizio. Nel 1987 Caponnetto è' costretto a lasciare per motivi di salute la guida del pool; tutti indicano Falcone come il suo erede naturale, ma a sorpresa spunta la candidatura di un magistrato più anziano, Antonino Meli. Paolo Borsellino, in un' intervista, prende pubblicamente posizione in favore dell' amico e denuncia un ''calo di tensione'' nella lotta alla mafia. Dichiarazioni che ripeterà anche davanti al Csm, che però conferma la nomina di Meli.
Nel '90 Borsellino torna come procuratore aggiunto a Palermo, dove ritrova Falcone. I due entrano in contrasto questa volta con il capo dell' ufficio, Pietro Giammanco, sempre in relazione alla gestione delle inchieste antimafia. Falcone preferisce trasferirsi al ministero della Giustizia, dove dirige l' ufficio Affari Generali. Fino al 23 maggio del '92, quando viene ucciso insieme con la moglie e tre agenti di scorta a Capaci.
Da quel momento l'unico obiettivo di Paolo Borsellino diventa quello di catturare gli assassini di Falcone. Una corsa contro il tempo. Ad alcuni cronisti confida: «Mi sento un cadavere che cammina». Il pomeriggio del 19 luglio, dopo una giornata trascorsa al mare, decide di far visita all'anziana madre in via D' Amelio. Finisce così, con un boato e un'enorme nuvola di fumo nero, la vita del «giudice buono» che aveva deciso di vendicare la morte del suo migliore amico.
Il 19 luglio nella storia
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1834: Nasce Edgar Degas | 1903: Maurice Garin vince il primo Tour de France | 1969: Nasce Roberto Farnesi | 1986: Muore alfredo Binda |
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