di Luca Garosi
Dei tanti soprannomi guadagnati nel corso della sua carriera, quello che meglio definisce Louis Armstrong è sicuramente ''The Ambassador'', l'ambasciatore. Nessun altro nome di jazzista è conosciuto quanto il suo fuori dalla cerchia degli intenditori così come nessun altro musicista ha contribuito più di lui, che si è esibito praticamente in ogni angolo della terra, a diffondere nel mondo il verbo del jazz.
La sua è la storia di un musicista geniale che non dette mai troppa importanza a se stesso e che, probabilmente per un'antica paura della miseria, si preoccupò più di ogni altra cosa di divertire il pubblico, anche a costo di trascurare la qualità della sua musica. Ed è stata proprio questa sua disponibilità verso i gusti più popolari, che gli procurò le critiche dei puristi e perfino le accuse di ''ziotomismo'', a spingere la fantasia popolare ad identificarlo con l'immagine stessa del jazz.
Allargò il repertorio alle canzoni e ai ballabili di moda, introducendo quella prassi di sintesi di diversi generi musicali che a tutt'oggi è uno dei procedimenti basilari della musica afro-americana. La sua biografia potrebbe essere adattata ad un personaggio di Dickens: nacque poverissimo in un quartiere malfamato di New Orleans il 4 agosto 1901 e imparò a suonare la cornetta in un riformatorio.
Poi i primi passi professionali con le orchestre sui battelli del Mississippi, la migrazione a Chicago, l'incontro con il maestro benefattore King Oliver, allora il ''re dei musicisti'' di New Orleans. Da allora la grande avventura che lo portò a New York, a incidere brani memorabili, a suonare accanto ai ''grandi'' del jazz, a esibirsi ai quattro angoli del pianeta, compresa l'Italia e una partecipazione al festival di Sanremo, ad apparire in numerosi film tra cui ''High Society'', accanto a Frank Sinatra, Bing Crosby e Grace Kelly, fino ad essere eletto «la più importante figura musicale del nostro tempo» dai lettori di ''Down Beat'', una delle Bibbie dell'editoria musicale.
Il suo periodo di massimo splendore creativo risale agli anni '30, poi amministrò con prudenza il suo successo. Armstrong è stato un genio, ma gran parte del suo successo è dovuta ai suoi atteggiamenti ingenuamente clowneschi, al suo stile di cantante dalla voce roca. Eppure è difficile trovare un suo disco che non valga la pena di essere ascoltato.
Anche come cantante Louis è stato un rivoluzionario facendo del tono roco della voce un elemento di squisita musicalità. Senza contare che è proprio Louis Armstrong il padre dello ''scat'', lo stile che utilizza la voce in senso strumentale. Anche le sue interpetazioni di maggior successo, come ''Mack The Knife'', ''Hello Dolly'', ''C'est si bon'' e di ''What A Wondeful World'' recano il segno di quell'inventiva che è dono di pochi. Non a caso Miles Davis ha detto di lui: «Con la tromba non si può suonare nulla che non venga da lui. Non ricordo una sola volta che abbia suonato male. Mai».
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Il 4 agosto nella storia
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