Il suo sessantacinquesimo compleanno, chiude idealmente un’estate in cui la sua amata montagna è stata semplicemente vorace. Alpi, Appennini e Karakorum hanno inghiottito un numero impressionante di alpinisti ed escursionisti. Reinhold Messner, da eroe in pensione, anche quest’estate non ha smesso di borbottarlo: “la montagna non è Disneyland”. Bisogna conoscerla, sentirla. “Usare il passo lento”. Lui lo sa bene, visto che ha iniziato a 13 anni a scalare in Val di Funes. E che prima di diventare “Mister Ottomila”, ha perso un fratello tra i ghiacci del Nanga Parbat. Subendo l’amputazione di sette dita dei piedi.
Messner è nato il 17 settembre del 1944 a Bressanone. Introdotto all'alpinismo dal padre, inizia presto a cimentarsi con le vette dolomitiche e il Monte Bianco per poi affrontare le ascese a 6.000 metri sulle cime delle Ande. La sua fama e quella di suo fratello Guenther si consolidano fra gli addetti ai lavori. Nel 1970 si aggregano alla spedizione sul Nanga Parbat: “montagna nuda” ma anche “la vetta del diavolo”, picco himalayano su cui, nell’estate 2008, è morto lo scalatore italiano Karl Unterkircher. Anche Guenther Messner, durante la discesa del 1970, muore. Per trent’anni sulle imprese di Reinhold peserà l’accusa di non aver fatto tutto il possibile per salvare il fratello pur di portare a termine la propria impresa.
Nel 1975, con Peter Habeler, Messner completa la prima ascesa senza ossigeno artificiale di una vetta oltre gli ottomila metri: il Gasherbrum I. Nel 1978 ripete l'impresa sull'Everest. La scalata di questa vetta senza l'ausilio di bombole di ossigeno era considerata fino ad allora impossibile per l'uomo. Messner ed Habeler furono accusati di aver utilizzato di nascosto delle mini-bombole. Anche per questo, nel 1980, Messner concepì l’impresa capace di consacrarlo tra i miti dell’alpinismo: raggiunse di nuovo la vetta dell'Everest senza l'ausilio di ossigeno, ed in solitaria.
Nel 1986 diventa il primo a conquistare tutti i quattordici ottomila. Nel 1990 lui e Arved Fuchs sono i primi uomini ad attraversare l'Antartide senza l'ausilio di mezzi motorizzati o animali.
Risale al 1999, invece, l’inizio della sua parentesi in politica. Parlamentare europeo per i Verdi, lui che fin dagli Anni Sessanta è stato propugnatore dell’ “alpine style”: uno stile di arrampicata privo di ausili esterni, contrario ad invadere le montagne con portatori e spedizioni ingombranti. Una concezione del “mestiere di scalatore” che fa capolino, oggi, nelle frequenti prese di posizione contro la “massificazione” delle grandi cime.
Nel 2004, in seguito all'espulsione dal partito per la pubblicità ad un’azienda di fucili, non si ricandida alle successive elezioni e si consola, a quasi 60 anni, attraversando a piedi il deserto del Gobi.
Messner è anche lo scrittore di alpinismo più letto di sempre. Nei suoi libri ha analizzato imprese altrui, come nell’ultimo uscito: “Grido di pietra”. Ma soprattutto ha raccontato le sue grandi scalate: in “Nanga Parbat. La montagna del destino”, uscito nel 2005 dopo il recupero del corpo di suo fratello Guenter, ha ripercorso il dramma di venticinque anni prima. Il punto del ritrovamento allontana da Reinhold ogni responsabilità per quella morte. Una conclusione da film, o da grande romanzo epico sulla montagna. Quello che, ha detto Messner in una recente intervista, lui non ha intenzione di scrivere: “Penso che, almeno per quanto riguarda la montagna e l'alpinismo, il romanzo debba cedere il passo alla realtà”.
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Il 17 settembre nella storia
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Pagina realizzata in collaborazione con Rai Teche.