IL QUARTO TIPO

di Sandro Calice

IL QUARTO TIPO

di Olatunde Osunsanmi, Usa 2009 (Warner Bros.)
Milla Jovovich, Elias Koteas, Will Patton, Corey Johnson, Hakeem Kae-Kazim, Enzo Cilenti, Alisha Seaton, Daphne Alexander, Tyne Rafaeli, Mia McKenna-Bruce.

“Basato su fatti realmente accaduti” è la formula magica, e abusata, che dovrebbe aumentare il coinvolgimento dello spettatore di fronte a un racconto. “Il quarto tipo”, che negli Usa ha goduto di una campagna pubblicitaria virale basata su filmati diffusi sul web e sui social network, prova a fare questo gioco.

Nel 2000 la cittadina di Nome, in Alaska, fu sconvolta da una serie di strani e tragici eventi: omicidi, suicidi, sparizioni. Un dottore, che indagava sui rapporti tra questi eventi e i disturbi del sonno dei suoi pazienti, muore tragicamente anche lui. La moglie, la psicologa Abigail Tyler, decide di continuare, testardamente, come atto d’amore, il lavoro del marito. Il regista Osunsanmi sostiene che nel 2004, mentre si trovava per lavoro in North Carolina, venne a conoscenza della storia della dottoressa. La Tyler, grazie a sedute di ipnosi regressiva, aveva scoperto che gli abitanti di Nome si risvegliavano tutti dopo aver fatto lo stesso incubo, in cui un gufo bianco appariva di notte e li spiava. Ma in realtà accadeva che qualcuno di non umano penetrava nelle loro abitazioni e li portava via, cancellando dalla memoria ogni ricordo dell’accaduto. L’ipotesi finale, inconfessabile, è quella del rapimento da parte di alieni, il “quarto tipo” di incontro, appunto, secondo una scala stabilita nel 1972 che definisce del primo tipo l’avvistamento, del secondo tipo la presenza di prove e del terzo tipo il contatto visivo. Abigail Tyler pagherà a caro prezzo la sua voglia di verità.

Il film, almeno nelle intenzioni, è costruito come una sorta di docu-fiction in cui il regista mescola interpretazioni di attori professionisti e ricostruzioni degli eventi a video registrati dalla dottoressa Tyler durante le sedute di ipnosi. L’intervista alla stessa Tyler (nella parte di fiction interpretata da Milla Jovovich) costituisce il filo conduttore del racconto. Questa struttura (che dall’antesignano “Blair Witch Project” al prossimo “Paranormal Activity”, passando per “Rec”, ha i suoi estimatori e forse ancora poco da dire), i temi trattati e i codici usati (fantascienza, horror e qualche reminiscenza esorcista, tanto per gradire) promettono in realtà più di quello che mantengono. L’eccessiva didascalizzazione, con addirittura attrice e regista che in apertura e chiusura del film si rivolgono direttamente agli spettatori per “spiegare”, e una costruzione della tensione che si basa solo sulla reiterazione degli episodi lasciano alla fine un senso di incompiuto. Intendiamoci, qualche salto sulla sedia lo si fa. E se vogliamo credere che i video e le interviste siano veri, non si resta del tutto indifferenti. Ma l’idea meritava un altro svolgimento.